About...

Questo blog nasce all’interno del nostro percorso in Psicologia del benessere, una nuova aria che si respira tra i corridoi della Facoltà.

L’idea è far scoprire alle persone le potenzialità che hanno per poter affrontare al meglio le sfide di ogni giorno.

Abbiamo deciso di avventurarci nel mondo dell’empowerment familiare, perché, attraverso le nostre esperienze abbiamo avuto modo di toccare con mano quanto sia importante la famiglia come fonte di supporto e come fattore protettivo, ma anche come questa, in alcune situazioni particolari della vita, possa aver bisogno di un aiuto!

Curiosi di saperne di più? vi aspettiamo qui!! :)

Alice & Maura

domenica 28 febbraio 2016

Cinema e dintorni: la famiglia Berlier e gli adolescenti


Cari genitori... io volo! (non fatevi prendere dal panico!) 


Il film che vi proponiamo oggi per Cinema e dintorni lo dedichiamo a tutti i genitori.

La famiglia Berlier è un film del 2014 che racconta le avventure di una famiglia molto particolare composta da quattro componenti, di cui 3 sordomuti.
Protagonista è la giovane Paula, sedicenne non sordomuta che si pone come ponte tra i genitori, il fratello e il resto del mondo traducendo il linguaggio dei segni. Paula, tuttavia, è un'adolescente a tutti gli effetti: introversa, scontrosa e poco sicura di sé. A scuola scopre di avere un talento particolare: saper cantare. Motivata dall’insegnate di musica, decide di provare a entrare in una nota scuola di Parigi. Per prepararsi all’audizione studia la canzone Je Vole un brano della tradizione francese che ben racconta il processo di crescita dal punto di vista dei figli.

"Miei cari genitori io vado via
Vi voglio bene, ma vado via
Non avete più una bambina, stasera
Io non fuggo, io volo
Cercate di capire, io volo
Senza fumo, senza alcool
Io volo
Io volo"

Il film racconta con toni da commedia le difficoltà che i genitori di Paula hanno nell’accettare che la figlia possa scegliere di cantare e di andare via, lontano da loro. Trovo che il film descriva in modo brillante il momento in cui i figli adolescenti scoprono di avere delle ali che possono portarli lontano dal nido e il terrore che i genitori vivono scoprendo che queste ali possono portare lontano da loro: non solo fisicamente, ma anche come interessi. Il contrasto è reso evidente dal paradosso che il canto, a cui si appassiona Paula, sia una realtà totalmente irraggiungibile e incomprensibile per i suoi. Tuttavia il film ci mostra che un punto di incontro è sempre possibile!

Eccoci ancora una volta davanti ai compiti di sviluppo che ogni membro di una famiglia ha: per i figli imparare ad uscire da casa significa imparare a differenziarsi nella storia familiare e per i genitori si tratta di comprendere che allontanarsi da casa in senso più o meno figurato non è "smettere di voler bene". 



Cari genitori....Buona visione!

Alice







Fonti

Scabini, Iafrate, Psicologia dei legami familiari, 2003

sabato 27 febbraio 2016

Unite si può: una storia di forza, di sostegno, di coraggio, di resilienza con un tumore al seno

Curiosi di sapere come superare una diagnosi difficile? Fatevi ispirare da lei! 




“Ma quando nel dolore si hanno compagni che lo condividono l’animo può superare molte sofferenze”

W. Shakespeare

Oggi vi racconto la storia di una donna speciale, Dani. Lasciatevi ispirare da lei e dalla sua resilienza.

Come è nata l'associazione Unite si può?
Unite si può nasce nell’ ottobre del 2014 come logica conseguenza di un forum di sostegno  psicologico per donne operate al seno aperto nel 2012.
Dopo l’intervento, nel 2011, una notte in cui non riuscivo a dormire, ho cominciato a navigare su internet. Avevo bisogno di trovare “qualcosa” a cui aggrapparmi, qualcosa che mi potesse dare sostegno… e mi sono imbattuta in un forum sul cancro al seno. Così, d’impulso, mi sono iscritta e da quel momento non mi sono più sentita sola. Avevo trovato tante donne che stavano vivendo o avevano vissuto quello che vivevo io e che mi capivano. Mi hanno accompagnato tenendomi per mano e ogni volta che sono caduta, mi hanno tirato su e mi hanno donato un po’ della loro forza. Sarò loro eternamente grata.
Più tardi, io e altre mie compagne di avventura, ci siamo rese conto che si poteva fare di più. Le fondatrici del forum a cui eravamo iscritte, però, non erano disposte a seguirci, così ne abbiamo fondato uno nostro. Due anni dopo siamo approdate all’Associazione.
Che tipo di sostegno si cerca nell'associazione?
L’associazione viaggia di pari passo con il relativo forum e una pagina facebook dedicata. Compito dell’associazione è diffondere informazioni sul cancro e sulla prevenzione. Abbiamo partecipato e organizzato diversi eventi al riguardo. Abbiamo patrocinato e sponsorizzato una mostra fotografica a Sassuolo che si intitola La Donna: Dolore&Forza – che stiamo cercando di fare girare per l’Italia – e abbiamo organizzato una serie di incontri in associazione con la ASL di Mantova che si intitola Alimentamiamoci, oltre ad aver partecipato come testimonial al Party in Pink (patrocinato da S.Komen) nel 2013. Ma, soprattutto, tentiamo con la nostra presenza di dare lo stesso calore e lo stesso supporto psicologico che abbiamo ricevuto noi, cercando così di sconfiggere il senso di solitudine che assale dopo la diagnosi.
Nella dimensione di cura medica, cosa si tralascia?
Questa è una domanda complessa! Prima di tutto, bisogna dire che non si è mai preparati ad una diagnosi grave; nel nostro caso, di cancro. Se il medico è bravo, riesce a spiegarti quello che sta succedendo senza creare allarmismo. La mia esperienza, mi porta ad affermare che i medici dicono al paziente il minimo indispensabile nel momento in cui è necessario, perché la consapevolezza si acquisisce  graduatamente e non si può metabolizzare più di ciò per cui si è preparati in quel momento; inoltre, non tutti i pazienti sono uguali e non tutti reagiscono allo stesso modo. Si innesca un meccanismo di priorità e, al primo posto, c’è la Vita. Perciò, tutto ruota sul percorso “pratico” che porta alla salvezza: gli esami, il ricovero, l’intervento, le terapie… Il paziente è talmente frastornato e impegnato in tutto questo che, all’inizio, non c’è spazio per altro. Ma, man mano che la strada si delinea e si metabolizza la notizia… beh, allora si inizia a fare i conti con se stessi e con il proprio vissuto e qui, ci si inizia a sentire terribilmente soli. Gli ospedali più attrezzati dispongono di un servizio di psiconcologi che possono dare un grande aiuto ma, purtroppo, si tratta di un sostegno ancora limitato, suppongo per gli alti costi. Personalmente, ritengo che un sostegno di questo tipo sia indispensabile e, per questo abbiamo aperto un forum di “mutuo aiuto”. Non siamo psicologi, ma abbiamo tanto cuore! E consapevolezza!
Cosa significa avere un tumore? Cosa cambia nella percezione di sè?
Avere un tumore significa acquisire la consapevolezza della morte. Tutti moriamo ma, per fortuna, non ci pensiamo e questo ci dà quella leggerezza del vivere che è impagabile. Il tumore ti mette di fronte alla morte. Di punto in bianco, capisci che non sei immortale e devi fare i conti con te stesso, con i tuoi sospesi, con la tua fragilità. La prima cosa che perdi è, appunto, la leggerezza del vivere. Chi ha vissuto un’esperienza di cancro non sarà mai più la persona che era prima della diagnosi. In compenso, però, maturi una nuova scala di valori. Tutto acquisisce una valenza più profonda e intensa. Il sole non è più solo il sole: è il Calore. Per farti un esempio…
Ma, oltre a questa nuova percezione emotiva, ti trovi a dover fare i conti anche con una nuova fisicità: le cicatrici, la”mutilazione”,  la presenza di un corpo estraneo (la protesi)… ma anche solo la consapevolezza della presenza di un “alieno” che vive in modo simbiotico nel tuo corpo…. Sono tutte cose molto difficili da accettare. E non ti parlo di quello che succede quando ti guardi allo specchio e non hai più i capelli, o le ciglia; e le sopracciglia… Quando, nel giro di poche settimane, ingrassi di 7 kg e sei gonfia di cortisone… Semplicemente, non ti riconosci più. La persona allo specchio non sei più TU. Hai perso la tua identità.
La famiglia può essere vista come una risorsa o come un ostacolo nella malattia?
La famiglia è una grandissima risorsa! E’ il motore primario della reazione  perché chi ci sta attorno reagisce in base al modo in cui reagiamo noi. Se chi sta male, si dimostra forte, la famiglia – per così dire – si  “tranquillizza” perché vede una forma di reazione positiva, ma se il malato si lascia andare, si lascia andare anche la famiglia. Per assurdo, è chi sta male che ha l’onere di tranquillizzare i propri cari. E’ un grande peso, un fardello che a volte schiaccia, ma è anche il motore che innesca la reazione, che spinge a tirare fuori tutta la forza che ognuno di noi ha dentro di sé senza esserne consapevole. Io penso che, nel complesso, chi sta vicino ad un malato di cancro stia peggio del malato stesso perché è totalmente impotente e può solo assistere (nel senso di guardare, testimoniare e anche di assistenza). Il malato, invece, è sotto l’effetto dell’istinto di sopravvivenza e, pertanto, rivolge ogni energia al rilascio di quella forza interiore che gli permette di affrontare il percorso delle terapie fino a superarlo.
Come si vive in famiglia una diagnosi di questo tipo?
Una diagnosi così grave travolge la famiglia e la scombussola fin nelle sue fondamenta. Niente è più lo stesso. Tutti vengono travolti e vivono le proprie paure,  che sono comuni, ma anche proprie. Mi spiego meglio: tutto ruota attorno alla persona malata e tutti cercano di fare del proprio meglio per farla sentire accolta e amata. La persona malata si abbevera da questo affetto, ma al contempo si sente colpevole per aver sconvolto la vita delle persone care, così oltre alla paura per se stessa si aggiungono le paure per le persone amate (figli, compagno…). Ogni componente della famiglia, poi, elabora in proprio il dolore e le paure e le tiene per sé, per non pesare sulla persona malata. Così si crea una profonda solitudine che si può sviluppare e manifestare nelle maniere più disparate: insicurezza, aggressività, introversione, ecc..
Quando si capisce che il proprio corpo non è più malato, come ci si sente? Come si accetta la nuova corporeità?
Ecco un’altra domanda difficile… Non so bene come rispondere a questa domanda perché mi viene da dire che non si guarisce più. Intendo dire che la consapevolezza di mortalità acquisita ha per sempre sostituito la leggerezza del vivere e quindi, in un certo senso, a livello psicologico si resta malati. Ho letto un articolo che dichiarava che sta nascendo una nuova branca in oncologia riabilitativa che riguarda proprio i cosiddetti “lungosopravviventi”, cioè che hanno superato i fatidici 5 anni post intervento. Fisicamente, si impara a convivere con la propria fisicità modificata, ma si è molto più fragili. Nel mio caso personale, dopo la quadrantectomia al seno destro, ho subito un’annessiectomia preventiva (esportazione tube e ovaie). Ho fatto chemioterapia che mi ha modificato fisicamente (invecchiamento precoce della pelle, deterioramento delle unghie, perdita parziale di ciglia e sopracciglia, aumento del peso) e poi radioterapia sul seno (modificazione del colore della pelle e morte parziale delle cellule con conseguente modificazione dell’elasticità della pelle). Nel 2014 è sopravvenuta una trombosi completa della giugulare profonda destra e una parziale a braccio destro a causa, presumibilmente, dell’assunzione della terapia ormonale post chemio (che non è consigliabile interrompere perché è l’unica protezione contro una eventuale recidiva). La menopausa indotta e la successiva esportazione delle ovaie hanno accelerato l’osteoporosi e così, a seguito di una caduta, mi sono rotta il bacino e la clavicola lato sinistro e il primo metacarpo mano destra. No, francamente, non riesco a sentirmi “guarita”, ma per fortuna sono un’eccezione alla regola.
Che significato ha "star bene" dopo aver avuto un tumore?
“Star bene” significa fare in modo che l’esperienza vissuta non rimanga fine a se stessa. Vuol dire trasformare l’esperienza negativa in qualcosa di costruttivo e di positivo. Questo significa sconfiggere davvero il cancro. Non lasciargli lo spazio di distruggere il nostro Io ricco e profondo.
Da donna e da madre come si rincomincia a vivere? Da dove?
Come Donna, ci vuole  l’aiuto delle persone care. Conosco una donna che ha impiegato un anno dopo l’intervento prima di riuscire a passarsi la crema idratante sul seno, perché non riusciva ad accettare il “corpo estraneo” della protesi e la conseguente perdita di sensibilità; e conosco molte donne che hanno difficoltà a recuperare un’intimità sessuale con il proprio partner perché non si sentono più “adeguate” o perché i loro compagni fanno difficoltà a misurarsi con le cicatrici evidenti. Io sono stata molto fortunata. Il mio compagno mi è sempre stato vicino, facendomi sentire bellissima anche quando ero inguardabile e il suo amore e il suo affetto mi hanno permesso di accettarmi e di amarmi anche con le mie nuove “imperfezioni”. Come madre, invece, lavoro ancora a questa rinascita. Sono passati quattro anni, ma le mie ripetute vicissitudini in fatto di salute, hanno pesato (e pesano tuttora) sulle mie figlie. Ognuna ha reagito a modo proprio. La più grande (che al tempo aveva 15 anni) ha reagito con una forte introversione e la manifestazione di rabbia e aggressività. La piccola (che aveva 12 anni) invece, ha perso i suoi punti fermi di riferimento e ha sviluppato una forte sfiducia nel futuro e nelle proprie capacità. E’ in terapia da un anno e le cose stanno lentamente migliorando.
Noi, giovani psicologhe, cosa possiamo fare?
Potete fare moltissimo! Intanto, potete battervi affinché i servizi di supporto psicologico non vengano sottovalutati e vengano istituiti come normale prassi in tutti quei casi in cui il trauma di una malattia grave interferisce sul normale vivere. Potete adoperarvi presso le numerosissime associazioni che operano fattivamente presso le strutture ospedaliere, ma anche sul web, come il nostro forum. Le associazioni hanno sempre bisogno di persone preparate professionalmente, ma la scarsità dei fondi è per noi di grande ostacolo. Un’opera di volontariato in questo senso, sarebbe di grande vantaggio.



Alice 

venerdì 26 febbraio 2016

Empowerment familiare a tu per tu con una famiglia

La famiglia: un'impresa con un pizzico di follia



"Non c’è niente che ti rende più folle del vivere in una famiglia. 
O più felice. 
O più esasperato. 
O più… sicuro."
(Jim Butcher)

Essere genitori di figli piccoli è sicuramente un'avventura meravigliosa, ma la vera sfida inizia quando i figli crescono e diventano maggiorenni.

Così abbiamo pensato di fare due chiacchiere con una famiglia di “adulti” due genitori e due figli grandi: una all’università e uno appena laureato. All’intervista hanno partecipato mamma Carla, papà Luca e Andrea. L’immagine con cui hanno scelto di rappresentarsi è questo angelo: un quadrifoglio che rappresenta la fortuna, ma anche l’unione di quattro personalità differenti.

Cosa significa per voi essere genitori?
Luca: essere genitore lo scopri solo vivendo perché giorno per giorno ci sono novità, ci sono improvvisazioni e ci sono un milione di cose che devi scoprire e che possono diventare bagaglio dell’esperienza che hai vissuto anche da figlio. Essere genitore è un’impresa (sorride) che giorno per giorno scopri. Ogni giorno c’è una pagina bianca da scrivere per essere genitore. Poi, non è detto che questa pagina sia buona o cattiva quindi è un lavoro lungo e difficile e non si sa mai se riesci..forse solo alla fine..capirai se hai fatto bene il tuo “lavoro” da genitore.
Carla: per me invece è una questione di dare e avere. Mi spiego, si parte come genitori quindi insegnando ai figli e prendendoli per mano. Pian pianino nel susseguirsi degli anni si capovolge la situazione, tu capisci che hai bisogno dei figli e sono loro a prenderti per mano. Se si riesce si instaura un rapporto bellissimo di complicità, perché secondo me la famiglia resta il luogo...non più sicuro del mondo, ma poco ci manca!...la mia famiglia è così, non la cambierei di una virgola. Essere genitori secondo me è questo: insegnare per un periodo della vita, imparare per altri. E poi comunque è un bel fardello. Su questo non ci piove...proverete ragazzi!
Andrea: secondo me essere genitore..non è un mestiere, ma una delle cose più difficili del mondo, lo definirei un equilibrio instabile, dove non sai mai se hai fatto bene o se hai fatto male, se hai dato troppo o dai dato poco..e quindi un equilibrio instabile.

Essere figlio
Andrea: Essere figlio è più facile, perché hai sempre qualcuno su cui puoi contare e hai qualcuno che può darti delle certezze nella vita che altre persone nella vita, al di fuori dei genitori, sicuramente non possono darti.
Essere una famiglia
Carla: beh la nostra famiglia è una bella impresa, nel senso che siamo quattro persone completamente diverse. Essere una famiglia, è come essere un genitore, una cosa bellissima perché hai delle persone sui cui puoi contare. La famiglia è sacra, è, come dicono, una chiesa domestica, perché qui si impara, qui o ti pieghi o ti spezzi o tiri su la testa e ti aiuti soprattutto, o ti fai forza l’uno con l’altro..magari ti mandi anche a quel paese, però sei sempre tu. A noi basta guardarci in faccia e ci capiamo.
Andrea: io uso la metafora della barca. Nel senso che a volte c’è chi è sull’orlo per andarsene e tutti fanno di tutto per tirarlo su. C’è chi è più in difficoltà in quel momento e quindi ha bisogno di essere aiutato, chi in quel momento è più forte e può aiutare, ma nella tempesta, che è la quotidianità delle nostre vite.. è la barca che rappresenta una famiglia, si sta tutti uniti e tutti devono cooperare per fare in modo che la barca superi le difficoltà e che nessuna vada perso. La barca va verso il mare aperto.
Luca: la famiglia è una cosa che si crea dal nulla...è un’unione. È una cosa che va avanti di continuo, è working progress. Perché le persone crescono e cambiano quindi bisogna sempre riconfrontarsi e ritrovarsi. Poi è vero che ci si ritrova, ci si aiuta, ci si scanna...però è sempre un legame indissolubile che anche quando non ci sarà più...sarà sempre un legame. Quando i figli andranno fuori casa... la famiglia non è che non ci sarà più...

Cosa vi hanno insegnato i vostri figli?
CarIa: i miei figli, sinceramente, mi hanno insegnato tante cose. Da genitore mi hanno insegnato che devi tirare fuori le unghie nel momento giusto, devi avere pazienza. Dal punto di vista culturale e intellettuale sono sempre loro ad aver insegnato a noi, su questo non ci piove, poi mi hanno insegnato anche dove io sbaglio il rispetto. Soprattutto Andrea mi ha insegnato il dare tanto agli altri. Con lui abbiamo imparato a metterci in gioco e a metterci alla prova: nel senso, le persone hanno bisogno e allora buttiamoci, che non è poco, eh, perché non è sempre facile al giorno d’oggi. Abbiamo anche un modo di parlare diverso, se mi vesto male loro te lo dicono. Da genitore ci sono delle cose che ti tengono al passo...ci sono anche cose difficili, ma è bello.
Luca: A un certo punto cominci ad imparare, cominci a capire il loro punto di vista, cominci ad apprendere e a capire come se ti trovassi dall’altra parte. In questo momento qua, più crescono più loro hanno da insegnarti, o meglio, ri-aggiornarti perché a volte ti rendi conto di avere dei paletti e una mentalità un po’ più ferma in confronto ai tempi che vanno e loro sono comunque più aperti e hanno delle menti più progressive. Vedono più avanti, ti danno consigli, ti aiutano..a stare a galla..mentre faresti più difficoltà. C’è sempre da imparare.

Cosa ti hanno insegnato i tuoi genitori?
Mio papà mi ha insegnato l’umiltà, nel senso che mio papà mi ha sempre insegnato a essere umile, a prendere le cose per come sono, cioè non terra terra, ma imparare a guardare le cose sempre dal punto di vista molto materiale, fare meno voli pindarici, ma mettersi, rimboccarsi le maniche per ottenere i risultati perché quello è uno delle poche strade in cui la vita di può dare soddisfazioni. Giorno per giorno nell’impegnarsi nella quotidianità senza gesti eclatanti, ma soprattutto con costanza, si possono ottenere dei risultati. Un uomo di poche parole, ma di grandi gesti.
Mia mamma mi ha insegnato a sorridere alla vita. Perché qualsiasi cosa succeda mi ha insegnato a vedere i lati positivi, a prendere la vita con un sorriso.

Cosa vi piacerebbe lasciare ai vostri figli?
Carla: in questo momento lascerei ai miei figli la mia passione, io faccio sempre le cose buttandomi, magari sono anche un po’ così..e poi anche un po’ della mia pazzia. Perché se no la vita cosa sarebbe?
Luca: io la mia concretezza e la mia ponderatezza...cose che a volte recepiscono e a volte no. Altro non laascerei...perchè secondo me sono già abbastanza completi così.

Avete riconosciuto di cosa stiamo parlando? L'argomento centrale sono le transizioni, nello specifico le transizioni all'età adulta. Oggi, se ne identificano due tipi: il passaggio da adolescente a giovane adulto e il passaggio da giovane adulto ad adulto. Si tratta di una impresa che ogni famiglia vive e a cui partecipano genitori e figli in modo diverso. Quando i figli crescono arriva il momento di riconoscerli e differenziarli all’interno della storia familiare. Porsi domande come queste in famiglia, può essere un modo per iniziare a riconoscere il valore di ognuno e aprirsi alla crescita.

Alice

Fonti

Scabini, Iafrate, Alla ricerca del familiare, il modello relazionale simbolico, 2012

giovedì 25 febbraio 2016

ACBS contro il bullismo scolastico. Quando a parlare sono l'autoefficacia e la resilienza

E' facile fare il bullo, quelli veramente forti aiutano gli altri 

Oggi ci occupiamo di bullismo, questa nuova piaga sociale, che "vuole definire" ruoli e poli opposti tra bulli e vittime (Ma siamo sicuri sia cosi?). Si, perchè generalmente, quando si riflette sul bullismo, vengono evidenziate le relazioni tra bullo e vittima, sottovalutando le dinamiche interne al gruppo, alla famiglia, alla cultura di appartenenza, che fanno da sfondo all'incontro tra più persone.

Del bullismo se ne parla… e questo è positivo, perché non si può combattere qualcosa che non si conosce, ma ciò che serve è anche agire e soprattutto prevenire, ma… come fare?
Il bullismo viene definito come un fenomeno rivelatore, una sorta di spia, dei modi di essere di un'intera società, di ciò che vivendo in gruppo "non funziona".
Spesso le famiglie, pur riconoscendo il problema, non sanno a chi rivolgersi, come comportarsi con i propri figli, cosa fare per proteggerli o per far cambiare loro modo di comportarsi. I genitori si trovano impotenti di fronte a questo fenomeno, e spesso, giustamente, spaventati.


Il termine deriva da una traduzione del termine inglese Bullying, che caratterizza comportamenti di prepotenza tra bambini e/o adolescenti.


"Il bullismo, è un fenomeno a molteplici livelli di complessità, relativi al tipo di comportamento aggressivo individuale, ai processi di pensiero, emotivi e motivazionali che sospingono il prepotente a mettere in atto un'azione riconosciuta come moralmente sbagliata e ai fattori di gruppo che concorrono al verificarsi di episodi di bullismo." (Caravita)

Abbiamo provato a chiedere aiuto ai ragazzi di "ACBS contro il bullismo", associazione che si occupa di questo tema, fondata da Vincenzo Vetere
Quest’associazione, andando per le scuole, e parlando con bambini, adolescenti, genitori e insegnanti, aiuta ad aumentare la consapevolezza e responsabilizzare le persone nei confronti del bullismo, cercando di aiutare bulli e vittime.
Sappiamo però che questi ruoli non sono giocati isolatamente, ma che si dispiegano in una rete di relazioni, e le più vicine e strette, sono quelle con i famigliari.
Abbiamo chiesto a ACBS quali sono, secondo loro, i consigli da dare ai genitori per prevenire questo fenomeno e come la famiglia possa aiutare vittime e bulli, ad uscire da questo tunnel.

“Secondo noi...
Alla base delle relazioni solide e significative come quella tra genitori e figli vi è la fiducia. La fiducia, qualora si dovessero verificare episodi di bullismo gioca un ruolo fondamentale, è ciò che spinge solitamente il ragazzo a parlare, a prendere coraggio per raccontare tutto quello che subisce. Il primo consiglio è quindi questo: costruite con i vostri figli un rapporto vero e solido di fiducia basato sul dialogo. 
La prevenzione degli atti di bullismo può essere fatta su diversi fronti e da diversi soggetti, ai genitori spetta sicuramente l'impartizione di una buona educazione, educare al rispetto dell'altro, al rispetto del diverso che spesso, soprattutto quando si è piccoli, ci spaventa e ci fa prendere le distanze. Riteniamo che per prevenire sia la messa in atto di condotte negative, il bullismo, sia il subire bullismo possa essere utile utilizzare con i propri figli uno stile educativo autorevole e mai autoritario. Potenziare l'autostima dei propri figli risulta essere un fattore preventivo e protettivo sia per le potenziali vittime che per i potenziali bulli, per i bulli che riuscirebbero a gestire meglio la propria rabbia e per le vittime che riuscirebbero ad accettarsi e ad apprezzarsi per quello che sono senza dare troppo peso alle influenze negative esterne. Ai genitori spetta il compito di insegnare ai propri figli ad essere resilienti, a "resistere agli urti" che si possono incontrare sul cammino della vita. 

Alcuni consigli molto pratici che ci sentiamo di poter dare sono questi: 
- non minimizzare mai il problema e favorire il dialogo con i propri figli
- fare attenzione al vissuto emotivo dei figli, alcuni segnali molto significativi sono l'isolamento improvviso e il calo repentino del rendimento scolastico
- rivolgersi ad esperti se la famiglia si rende conto di non farcela da sola
- non prendere posizioni estreme nei confronti del proprio figlio, bullo o vittima che sia: si condanna il comportamento scorretto e non la persona. 

Una cosa fondamentale sia per prevenire che per aiutare bulli e vittime consiste nel mantenere un dialogo costante tra la scuola e la famiglia.

Mamma, Papà...Non ditemi mai :

- il bullismo è solo una ragazzata, fa parte della crescita

- impara a difenderti da solo

- è colpa tua se ti trattano così"



ACBS Contro il Bullismo

Il Bullismo è una cosa seria, prendiamocene cura!

Maura


Fonti:
C. Serino, A. Antonacci, Psicologia sociale del Bullismo2013
G. Gini, S. Caravita, Immortalità del bullismo, 2010
http://www.acbsnoalbullismo.it/

mercoledì 24 febbraio 2016

La Storia di Giorgia: Storie familiari (parte 2)

Una storia di Empowerment familiare

Vi abbiamo presentato tante storie in questo periodo, storie che parlano di Empowerment e di famiglie che, rimboccandosi le maniche, si sono fatte forza, sfruttando quella che si chiama resilienzainsieme a tutte le risorse disponibili.
La nascita di un figlio, la nascita prematura di un figlio e una disabilità inaspettata, una malattia neurodegenerativa, il vedere gli occhi dei propri genitori spegnersi e svuotarsi pian piano.
Sono percorsi di tutti i giorni, in cui spesso ci troviamo ad immedesimarci e il nostro augurio, è che, proprio in questi racconti, ognuno possa trovare un attimo di conforto, di speranza e di condivisione.
Sono storie vere di persone che, nonostante le difficoltà diverse, tuttora presenti, hanno trovato nella famiglia un punto di lancio e di ri-lancio per la propria vita, quello che noi chiamiamo resilienza ed Empowerment familiare.

Oggi vi presento un’altra storia e un’altra famiglia a me molto cara:

"Il 30 luglio 2014 la nostra piccola Giorgia di soli 3 anni ha avuto una MAV (malformazione arterio venosa) spontanea....
La corsa con l'ambulanza al pronto soccorso e la tragica notizia di un'emorragia cerebrale!!
Non è possibile...non è vero...la nostra bimba così piccola …che male ha fatto per meritarsi tutto questo??? Perché lei e non io???
Tutte domande alle quali non trovi le risposte!!!! E la vita ti cambia in un istante...sembra un incubo e invece è semplicemente la realtà. Cerchi conforto nelle persone che più ti sono vicine la tua famiglia!!!!!!
Mamma e papà sono sconvolti e inoltre c'è Giulia sorella più grande di Giorgia...anche lei frastornata e triste per aver visto la sua sorellina stare male…ma grazie ai nonni e ai nostri amici, almeno lei nella sua tenera e dolce età riesce a stare tranquilla, in tanti se ne prendono cura.
Così inizia un percorso lungo e duro da affrontare ……. devi essere forte perché non hai un’alternativa, e grazie a tutte le persone che ci sono state vicine anche solo con un gesto o una semplice parola arriva il coraggio di affrontare questo grosso dolore!!!!
Quattro settimane in ospedale in terapia intensiva, giorno e notte ma quando si apriva quella porta trovavi sempre qualcuno ad aspettarti e darti conforto: un genitore, uno zio/zia un cugino/cugina, un amico/amica....
Poi il trasferimento nel centro di riabilitazione La nostra Famiglia a Bosisio Parini. E qui ti senti catapultato in un'altra realtà.... quanti bambini in tenera età con grossi problemi, quanti adolescenti con forti traumi o malattie gravi e quante mamme e papà disperati!!
Ma anche qui subentra fortunatamente la famiglia!!!!!!!! Io mi ritrovo così ad iniziare insieme a Giorgia un lungo percorso pieno di ostacoli che inizialmente sembrano insormontabili (non riuscire a comunicare, dover ricominciare tutto da capo, aspettando che presto i tuoi occhi tornino a splendere come prima, l’attesa di un tuo sorriso, un piccolo gesto che ci faccia capire che in quel piccolo corpicino c'è ancora la nostra dolce Giorgia) ma grazie al papà Omar che giornalmente arriva alla sera insieme a Giulia, sono più serena e il venerdì e sabato rimangono a dormire sul camper per esserci più vicini. E grazie ai nonni paterni che si occupano di Giulia mentre il papà Omar è al lavoro e grazie ai nonni materni che sono presenti ogni giorno e mi affiancano supportandomi e dandomi conforto; e grazie agli amici e ai parenti che con lo loro presenza, le parole e i gesti non ci hanno fatto mai sentire soli. Grazie a tutte le maestre, i bambini e le mamme che si sono resi disponibili e sono state sempre presenti con tanto amore e dolcezza.
Poi pian piano iniziano i primi progressi, i primi sorrisi, gesti e poche parole che ci rincuorano e ci fanno sperare in una ripresa seppur lenta. 
Grazie di cuore davvero a tutto il personale medico, infermieristico, ausiliario nonché a tutti i terapisti dell'ospedale S. Gerardo di Monza e alla Nostra Famiglia di Bosisio....
Grazie a tutti voi siamo riusciti ad affrontare una difficile situazione che ci ha cambiato la vita, che ci ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, a godere di ogni singolo momento, a capire quanto sia importante il dono della vita, abbiamo ritrovato la fede religiosa e abbiamo scoperto di avere tante persone che ci vogliono bene!!!!!!!!! Ci siamo rafforzati e uniti ancor più di prima!!!!!!!!
Sono sicura che senza tutta questa GRANDE FAMIGLIA Giorgia non si sarebbe ripresa così bene e così in fretta, perché credo che anche lei sentisse di non essere sola e lottava per vivere e ritornare la Giorgia di prima dolce e testarda!!!!!!!!!!

Grazie a tutti è bello sapere di avere vicine tante persone che ancor oggi ci supportano e sono costantemente presenti nella nostra vita!!!!
Grazie per averci dato la possibilità di raccontare la nostra storia drammatica ma con un finale esplosivo!!!!!!!!!!

Giorgia Galbussera e Famiglia"



Alla prossima!
Maura

martedì 23 febbraio 2016

Una nascita speciale: storie familiari (parte1)

Ti seguirò fuori dall'acqua

Voglio oggi proporvi una lettura particolare, a mio avviso un libro da tenere sul comodino, una storia di quelle belle e soprattutto vere, dove gli eroi sono reali e sono piccoli.

“Seneca sosteneva che per quanto sottile sia un foglio, presenta sempre due facce... Esperienza di accoglienza di debolezza fragilità e imperfezione”. 
Ecco che inizia la storia di Francesco, bambino affetto da trisomia- 21 (Sindrome di Down), nato in anticipo di 9 settimane.

La vicenda di Francesco è narrata in Ti seguirò fuori dall'acqua. dal papà Dario Fani, che in modo sincero, a volte “crudo”, narra di come questo bimbo per lui sia in qualche modo “morto e rinato”.
Francesco nasce prematuro, in mezzo alle urla di infermieri e medici praticamente sconosciuti, “Io potevo solo ascoltare. Osservare. C’era una linea gialla sul pavimento che non andava superata.”, accompagnate dalle parole ciniche di un’infermiera poco accorta, “Dimmi te se nel 2009 dobbiamo ancora vedere queste cose qua.”

“Ero diventato papà da qualche minuto e non stava accadendo nulla di quel che mi aspettavo. Mi sembrava impossibile che mi fosse concesso di vivere un momento di normalità.”

In mezzo a quell’insieme di urla, il papà capisce subito che qualcosa non va, ma come spesso accade in ospedale, tutto è veloce e le informazioni confuse.
Sincerità diretta, schiettezza, parole che penso rispecchino il pensiero di molti di fronte ad un evento così inaspettato e speciale, fanno da sfondo già dalle prime pagine di questo libro. 

Ogni genitore al momento della nascita e nei giorni successivi deve fare i conti con la realtà, con un confronto inevitabile fra il figlio ideale desiderato e sperato, e il figlio reale che ora tiene tra le braccia.
Ma non sempre è facile, soprattutto quando, come in questo caso, tutto viene ad essere scombussolato. Il cambiamento è così veloce e inevitabile; tra le braccia Francesco è “molle”, ipotonico, e può starci solo per brevi momenti, dal momento che la sua casa ora è un’incubatrice con tanti led e tubi rumorosi. 

“Appena salito qui, una delle infermiere mi ha consegnato quello che ha chiamato foglio illustrativo. Come se invece di un bimbo, fossi diventato papà di un medicinale. “Questo spiega suo figlio, non se lo perda”.” E come si fa a orientarsi in un simile clima?

Francesco è un bambino forte e coraggioso e presto impara a farsi volere bene dal papà e dalla mamma e nonostante tutto sia messo alla prova, nonostante tutte le certezze siano ormai cadute, la loro fiducia nel loro piccolo va sempre più aumentando. “Si migliora, ma una goccia alla volta, altrimenti perché credi che ci sia stata destinata un’esistenza fatta di anni e anni? Per capire le cose ci vuole tempo. E per applicarle ce ne vuole tre, cinque, sette volte tanto. A volte non basta una vita.”
Sensi di colpa lottano con quella che è la contingenza degli eventi che accadono, la realtà che si presenta davanti; così, impotente di fronte all’incubatrice, il papà fa la cosa più comprensibile, cerca un colpevole, anche se in cuor suo sa che un colpevole non c’è.

Il cambiamento inizia nel momento in cui ci sono le prime interazioni autentiche, quando il papà tiene tra le braccia, Francesco, piccolo e innocente. “Oggi hai vinto tu afferrandomi un dito.” Ed è proprio quando il piccolo viene accettato per quello che è, un bambino, tutto cambia prospettiva: “Non andartene, non ora, che finalmente sei nato. Nato dentro di me.”
E così è come se ci fossero due nascite, una ideale e una reale, quando ci si trova a fare i conti con ciò che ci si presenta davanti. E infondo questo accade sempre, non solo quando ci si trova davanti ad un evento così particolare.

“Ti seguirò fuori dall’acqua” è un libro che insegna molto, ma che giustifica anche tutti quei pensieri normali che affiorano di fronte alla disabilità di un figlio, la rabbia, la colpa, il rifiuto.

Penso sia un grande libro, scritto da un grande papà, che parla della storia di un grande bambino con due genitori coraggiosi.

“Dobbiamo crescere, siamo genitori solo da una manciata di giorni, cosa pretendi?
Miglioreremo giorno dopo giorno.”

 Ti seguirò fuori dall'acqua

Buona Lettura!

Maura


Fonti
http://www.tiseguirofuoridallacqua.it/
Dario Fani, Ti seguirò fuori dall'acqua
Scabini, Iafrate, Psicologia dei legami familiari, 2003


lunedì 22 febbraio 2016

Cinema e dintorni: Still Alice e il morbo di Alzheimer

Se vi siete chiesti come potrebbe essere avere l’Alzheimer, guardate questo film!



Preparate i fazzoletti: a cinema e dintorni oggi si piange!

Still Alice è un film del 2014, tratto dal libro Perdersi scritto da Lisa Genova, laureata in neuropsichiatria ad Harvard, al suo esordio con questo romanzo. L'adattamento cinematografico è stato diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, con protagonista Julianne Moore nei panni di Alice. 

Nel 2015, grazie a questo film, l'attrice Julianne Moore ha vinto diversi premi, tra cui il premio Oscar e un Golden Globe come miglior attrice protagonista in un film drammatico. 

Il film racconta la storia di Alice Howland , una donna di 50 anni, docente universitaria e madre di famiglia. Una donna in carriera, intelligentissima, una scienziata di successo che per anni ha studiato il linguaggio e il cervello. Quando, durante una conferenza, perde una parola e non riesce più a richiamarla alla memoria capisce di avere qualcosa che non va. La diagnosi è semplice: morbo di Alzheimer.

Fin dalle prime scene si viene accompagnati nella vita di questa donna e insieme a lei si soffre un po’ mentre perde la strada di casa, il cellulare e tutto quello che. Con delicatezza, prima il libro e poi il film, definiscono un ritratto di quello che potrebbe significare avere una malattia neurodegenerativa come il morbo di Alzheimer. Un ritratto che può solo essere considerato verosimile, ma che tuttavia riesce a restituire tutta la fragilità pur senza cadere nel patetico e nel melodrammatico. Il film, però non racconta solo la malattia di Alice, ma anche quella del regista Richard Glatzer a cui era stata diagnosticata la SLA poco prima che iniziassero i lavori alla pellicola. Questo offre alla pellicola un nuovo punto di vista sulla malattia che ha portato alla scelta onesta e diretta di raccontare la malattia in modo intimo, raccolto e riservato. Non pensate che vengano raccontati i grandi drammi: il film si limita ad accompagnare gli spettatori nel percorso della malattia, così come il libro accompagna in modo semplice il lettore... interrogandolo. 

La regia sceglie anche di rispettare la scelta stilistica del romanzo di raccontare in prima persona. Questo permette di immergersi totalmente nella storia e nella fatica della malattia con delicatezza, attraverso gli occhi di Alice, continuamente al centro della pellicola grazie ai primi piani delle inquadrature che diventano via via più sfuocati col progredire della malattia.


“I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono incerti, e allora per cosa vivo?
Vivo giorno per giorno. 
Vivo nel presente.
Uno di questi domani dimenticherò di essere stata qui davanti a voi a tenere questo discorso.
Ma solo perché presto me ne dimenticherò non vuol dire che l’oggi non conta.
(Lisa Genova)

Con questa frase, Alice, chiude il suo intervento a un convegno sul morbo di Alzheimer.
Ho scelto di usarla come risposta all’interrogativo che si poneva Oliver Sacks davanti alle demenze (e che mi sono posta anche io centinaia di volte). Come viverci? Come parlarci? Che tipo di speranza? Cosa possiamo fare? È solo prendendo atto del fatto che persone con malattie come questa vivano nel presente e giorno per giorno, solo partendo da questo punto di vista, si può iniziare a prendersene cura. Solo dal presente e nel presente si può parlare di benessere e di assistenza. D’altronde si inizia ogni giorno dall’oggi.

E allora come iniziare? Nella vita di tutti i giorni si può provare ad apportare piccole strategie di aiuto per i propri familiari con Alzheimer. Per esempio, usare lavagnette in casa per ricordare gli appunti e le medicine da prendere può essere un modo per aiutare le persone a ricordare. Anche tenere le medicine della mattinata può essere di aiuto. Insieme a queste piccole strategie, i più temerari possono provare a scandire la giornata del malato con un po' di musica: musiche diverse per ogni momento.
Con un po' di creatività si possono trovare semplici strategie per migliorare il clima emotivo dei tutti i componenti della famiglia.

Prendete spunto anche dal film!


Alice 



Fonti 

Genova, Perdersi
http://www.comingsoon.it/film/still-alice/50846/recensione/

domenica 21 febbraio 2016

Incontro con il morbo di Alzheimer: le fatiche di oggi

Un piccolo spunto per provare a convivere con la forma di demenza più diffusa al mondo


Che genere di vita (se di vita si può parlare), di mondo di sé, rimane in una persona che ha perduto la maggior parte della memoria e con essa il suo passato e i suoi ormeggi nel tempo?
Oliver Sacks


Il morbo di Alzheimer è una delle malattie più terribili e più affascinanti.

Terribile perché è capace di cancellare completamente una persona, i suoi ricordi e i suoi pensieri. Affascinante perché questa distruzione è un processo silente che il cervello compie e ancora non sappiamo con certezza come.

Si tratta di una malattia relativamente giovane, scoperta nel 1901 quando Alois Alzheimer ricoverò una donna affetta da un progressivo deterioramento cognitivo, disturbi di memoria, del parlato, della percezione, allucinazioni e alterazioni evidenti del comportamento. Solo dopo la sua morte, fu possibile attraverso autopsia verificare che il cervello presentava anomalie e zone atrofiche. Mi spiego, avete presente le noci? Ecco, un cervello malato di Alzheimer si presenta come le noci un po’ rinsecchite, più piccole del normale. Quelle noci che solitamente si scartano.

Oggi esistono due forme di Alzheimer: una forma genetica, a insorgenza precoce, una forma considerata senile che può essere assimilata ad altre forme di demenza, come la demenza senile e la demenza vascolare.

Il morbo di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa ad andamento cronico progressivo. Significa, in parole povere, che dall’Alzheimer non si guarisce, al massimo si rallenta la sua corsa inarrestabile con dei farmaci. Questa corsa porta alla perdita di competenze basilari come la memoria, l’orientamento spazio-temporale, la personalità, il comportamento, il movimento e il linguaggio.

Come è evidente, questa malattia, cancellando la persona che “colpisce”, colpisce molto da vicino anche la  famiglia. In particolare, il rapporto con il caregiver viene compromesso, dal momento che comunicare e assistere una persona affetta da Alzheimer è molto faticoso. Spesso non capiscono quello che si dice loro, spesso diventano aggressivi o completamente apatici, spesso non riconosco il partner, i figli o i nipoti. Questa attività di cura può esporre i caregiver a serie compromissioni della salute come la depressione e il declino fisico.

Oggi, si cerca di prendere in carico non solo il paziente affetto da Alzheimer, ma anche il caregiver, che spesso rifiuta aiuto un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché a volte è meglio staccare completamente dalla realtà della malattia. In questa cornice di sostegno è interessante il progetto della regione Lombardia di sostegno alle famiglie fragili. Si tratta di un progetto rivolto a famiglie considerate fragili. In questa categoria vengono identificate famiglie con anziani non più autosufficienti o affetti da diverse forme di demenza e malattie neurodegenerative, famiglie in difficoltà con minori o giovani con storie di abuso, famiglie con disabili. Il progetto di assistenza erogato dai Comuni a sostegno degli anziani non più auto sufficienti attraverso valutazione ISEE prevede diverse forme di sostegno tra cui progetti di sostegno sociale alla famiglia, come riabilitazione motoria, riabilitazione del linguaggio, aiuto nell’igiene personale o consegna dei pasti a domicilio.
Il programma di sostegno viene attivato dopo una valutazione da parte del comune, attraverso un colloquio che un assistente sociale. Durante il colloquio, viene valutato il tipo di progetto più adatto alle esigenze del nucleo familiare. Per maggiori informazioni vi consigliamo di consultare il sito della regione Lombardia e il vostro Comune.

Il nonno oggi ha vinto a “rubamazzetto”. Perché stupirsi? Il nonno oggi non mi ha riconosciuto. Mi ha guardato con occhi vuoti e un po’ confusi. Mi ha insegnato a giocare a carte, mi ha accompagnato all’asilo, mi ha insegnato ad andare in bicicletta, ma oggi non mi ha riconosciuto. Chissà chi sono per lui, oggi. Eppure, ha vinto a carte.
 Il nonno ha l’Alzheimer e non ci si abitua mai. 
A.

Prima di salutarci vi consiglio di vedere questo breve filmato: "Come si sente una persona malata di Alzheimer". 


Fonti
Alzheimer,  Über eine eigenartige Erkrankung der Hirnrinde, 1907
Papagno, Le demenze in Vallar, Papagno, Manuale di neuropsicologia, 2011
Ellis, Astell, The urge to communicate in serve dementia, Brain and Language, 2004
Germain et al, Does cognitive impairment influence burden in caregivers of patients with Alzheimer’s disease?, 2009
Pinquart, Sorensen, Correlates of physical health of informal caregivers: a meta-analysis, 2007
http://www.redditoautonomia.regione.lombardia.it//cs/Satellite?c=Page&childpagename=DG_Famiglia%2FDGLayout&cid=1213649287476&p=1213649287476&pagename=DG_FAMWrapper#1213633485508

sabato 20 febbraio 2016

Cinema e Dintorni: Ribelle, The Brave. I compiti di sviluppo dei genitori

Aiuto... Mia figlia è diventata adolescente!

Per capire un pò di più come si applicano i compiti di sviluppo dei genitori, ecco un film che ci può aiutare.
Per la nostra rubrica Cinema e dintorni, oggi vi proponiamo: Ribelle, The Brave.

Come tutte le favole incomincia con un…

“C’era una volta, in Scozia, Merida, principessa ribelle, molto somigliante a suo padre e poco a sua madre. Nel giorno del suo sesto compleanno riceve in dono dal padre, re Fergus, un arco. Nonostante la regina Elinor non sia d’accordo, Merida spende il suo tempo nella foresta a giocare con il suo regalo diventando ben presto un’infallibile arciera. Arrivata ai 16 anni, Merida è una ragazza molto coraggiosa, ribelle e sognatrice, ma anche dolce. Con lei ora vivono tre gemelli, suoi fratelli pestiferi! Diventata ormai adolescente è costretta dalle regole regali, a sposare uno tra i pretendenti che si scontrano per la sua mano dei clan MacGuffin, Macintosh e Dingwall.
Merida però decide di sovvertire le regole e rinnegare la tradizione, subendo la conseguente ira materna: quando la madre infatti afferma che solo il "primogenito" delle famiglie nobili può gareggiare, Merida pensa bene di partecipare vincendo così la sua stessa mano. La gara si conclude con la vittoria della ragazza che umilia così pretendenti e regina; durante il litigio che ne segue, Merida taglia l'arazzo fatto dalla madre, che rappresenta la loro famiglia, e Elinor, ferita e arrabbiata, getta l'arco di Merida nel fuoco.
Fuggita nei boschi per la disperazione con il suo cavallo Agus, la giovane incontra una vecchia strega che le offre un rimedio magico ai suoi problemi: Merida chiede alla vecchia un incantesimo che sia in grado di cambiare la madre e quindi il suo stesso destino. La strega l'assicura che il destino di Merida cambierà, quindi prepara un dolce magico, non spiegandone però le conseguenze. 
Dopo essere tornata al castello, Merida fa mangiare il dolce magico alla madre, ma, inaspettatamente, Elinor si trasforma in un'orsa di nome...”

Il seguito lo lasciamo alla vostra visione, ma certo è che se nella famiglia di Merida ci fosse stato un clima di ascolto da parte sia della madre nei confronti della figlia e viceversa, forse le cose sarebbero andate diversamente, forse la giovane non sarebbe dovuta scappare tutta sola nel bosco e la regina non si sarebbe trasformata in un terribile Orso.

Come in ogni famiglia, i cambiamenti e i passaggi sono molti, la crescita di Merida che si trasforma presto in un’adolescente, la differenza fra madre e figlia con le conseguenti discussioni tipiche di chi ha caratteri forti e vuole far valere la propria idea. 
L'adolescenza è un periodo particolare nella vita dei ragazzi, tanto quanto nella vita di mamma e papà.

I figli sentono la necessità di separarsi dai genitori e diventare autonomi, pur mantenendo un legame con le figure di riferimento. Spesso una richiesta di autonomia si scontra con i limiti imposti per la loro età, il desiderio sempre più grande di privacy si scontra spesso con la curiosità dei genitori, che risultano a volte invadenti. Il gruppo dei pari diventa ancor più punto di riferimento, un luogo dove il ragazzo deve però cercare la sua identità, senza confondersi con quella dei compagni. Senza contare i cambiamenti fisiologici!!!
Spesso questo cambiamento, si manifesta con emozioni forti, impulsive, che possono intaccare, se non ben incanalate, la relazione tra figli e genitori portando la comunicazione a meri scambi bisillabici!
Come si può provare ad arrivare ad una migliore comunicazione: 

  • Cercate di ascoltarli:condividere qualcosa con i ragazzi è sempre un momento speciale e prezioso. "Ascoltate il doppio di quanto parlate";
  • Rispettate la loro privacy: può essere un segno grande di fiducia nei loro confronti;
  • Dategli un'autonomia: renderli responsabili e indipendenti in alcune situazioni può aumentare la loro autostima e autoefficacia, e può renderli più inclini a parlare con voi genitori;
  • Accettate e accogliete i loro sentimenti, il rispetto reciproco verrà così alimentato;
  • Scusatevi quando avete torto!!!

Forse il nostro blog avrebbe potuto aiutare Elinor e Merida a confrontarsi con altri e a capire un po' di più rispetto alle proprie risorse da mettere in gioco, per far “funzionare” al meglio anche una famiglia "Reale" come questa!


"Alcuni dicono che al destino non si comanda, che il destino non è una cosa nostra. Ma io so che non è così, il destino vive in noi. Bisogna soltanto avere il coraggio di vederlo"
Ribelle, The Brave



Alla prossima!
Maura


Fonti
Scabini E, Iafrate R. Psicologia dei legami familiari, 2003
Iafrate R, Giuliani C, L'enrichment Familiare, 2006


I compiti di sviluppo dei neo genitori

A modo tuo

Dopo avervi presentato cosa succede alle neo mamme, voglio oggi regalarvi, per la nostra Playlist, l’ascolto di una canzone stupenda che porto nel cuore, A modo tuo, cantata da Elisa e scritta da Ligabue. Cantata da una mamma e scritta da un papà!!

Ci tenevo a postarla in questo blog, perchè penso sia il riassunto più semplice, di come ci si può sentire quando si diventa genitori, mettendo a nudo paure e gioie autentiche che nascono nel tenere in braccio per la prima volta un piccoletto.

Alla soglia dei 28 anni, posso immaginare, con lo spirito materno che è in me, di poter dedicare questa canzone ad un figlio ipotetico che spero arriverà, ma nella realtà mi sento ancora molto figlia e guardando il video, mi inginocchio ancora all'altezza di Emma.

Questa canzone descrive in maniera semplice, quelli che vengono chiamati in psicologia Compiti di sviluppo. Ogni transizione, cioè ogni cambiamento e passaggio all'interno della famiglia, viene innescata da un evento critico, che tende ad un obiettivo: ognuno all'interno della famiglia, deve far fronte a questo evento con le risorse che possiede. La nascita di un bambino, può dirsi evento critico. Il compito di sviluppo ha una valenza sia affettiva, sia etica, esso implica infatti aspetti di cura e di rispetto per l'alterità dell'altro, aspetti di responsabilità e di lealtà, che vanno a legittimare la posizione generazionale altrui...i compiti sono quindi relazionali, ma anche intergenerazionali!

“Sarà difficile diventar grande
Prima che lo diventi anche tu
Tu che farai tutte quelle domande
Io fingerò di saperne di più
Sarà difficile
Ma sarà come deve essere
Metterò via i giochi
Proverò a crescere”

Non si è mai abbastanza grandi per essere padri e madri… e chi può dire il contrario?
… il cambio delle abitudini, l’aumento di responsabilità, i doveri, i valori… viene subito da gridare “Aiuto, aiuto!”.
Ma non ti preoccupare mamma, non ti preoccupare papà.
Pian piano crescendo insieme a voi, ho capito che anche se non siete onniscienti, anche se a volte ( e solo a volte!), commettete degli errori, siete sempre per me, i super eroi più super! Penso che le risposte e i consigli, che i genitori danno a noi figli siano sempre e solo per il nostro bene e più si diventa "vecchi", più lo si impara sulla propria pelle!
Ecco il primo compito di sviluppo, passare da figli a genitori, e il passaggio non è così immediato e facile e accanto a questo, promuovere la distinzione nonni/ genitori.

"Sarà difficile chiederti scusa 
per un mondo che è quel che è
io nel mio piccolo tento qualcosa
ma cambiarlo è difficile
sarà difficile
dire tanti auguri a te
a ogni compleanno
vai un po' più via da me"

Il secondo compito di sviluppo, consiste nella differenziazione e distinzione..il lasciare andare e il riconoscere il figlio come soggetto della relazione, diverso da sè, ma con cui condividere un'esistenza.

“Sarà difficile vederti da dietro
Sulla strada che imboccherai
Tutti i semafori
Tutti i divieti
E le code che eviterai
Sarà difficile
Mentre piano ti allontanerai
A cercar da sola
Quella che sarai”

Immagino non sia stato facile vedermi imparare a gattonare, camminare, allontanarmi sempre di più imparando a correre, saltare, andare in bicicletta, prendere la patente e poi volare col parapendio giù per la montagna; imboccare strade sbagliate, tornare indietro... sempre stando a debita distanza, quella distanza tipica di chi protegge ma non soffoca.

“Sarà difficile
lasciarti al mondo
e tenere un pezzetto per me
e nel bel mezzo del
tuo girotondo
non poterti proteggere
sarà difficile
ma sarà fin troppo semplice
mentre tu ti giri
e continui a ridere”

Come coniugi, i genitori dovranno poi legittimarsi a vicenda, supportare il proprio ruolo e il ruolo altrui, con le responsabilità che ne conseguono.


Semplicemente grazie...

“A modo tuo
andrai
a modo tuo
camminerai e cadrai, ti alzerai
sempre a modo tuo
A modo tuo
vedrai
a modo tuo
dondolerai, salterai, cambierai
sempre a modo tuo”

Buon ascolto!


Alla prossima!
Maura


Fonti:
Scabini, Iafrate, Psicologia dei legami familiari, 2003

venerdì 19 febbraio 2016

Empowerment e mamme: Ecco che da donna divento madre (Parte 3)

Storie di straordinaria quotidianità 

Nella nostra settimana dedicata alle neomamme, ecco la seconda storia che abbiamo raccolto dopo quella di Mamma C!!!

"Da sei mesi a questa parte la mia vita è cambiata in modo radicale. Il 2 agosto 2015 è arrivato a stravolgere la mia vita e quella di mio marito il piccolo Nicolò!!
Le giornate hanno preso una piega diversa, sono molto più impegnative, sono piene, sono vive!!
I momenti per me e per mio marito sono diminuiti notevolmente, tanto che riuscire ad avere un po’ di tempo per noi è davvero raro, ma quando riusciamo a ritagliaci qualche minuto nella giornata, questo ha acquistato un valore grande e profondo.
Da quando sono mamma, da quando siamo genitori, le responsabilità e le priorità sono cambiate: il centro adesso non siamo più noi ma è lui, così piccolo ma cosi bisognoso di cure e di attenzioni e in quanto genitori abbiamo il dovere e il piacere di fare tutto quello che possiamo per lui.
Questo implica che tante cose che facevamo prima le abbiamo dovute ripensare, tempi, spazi, attività, uscite. Non si esce più il venerdì o il sabato al bar con gli amici, ma ci si ritaglia altri momenti più tranquilli magari in casa, per poter stare insieme lo stesso, ci si vedrà meno ma quello che cambia è la qualità del tempo.
La “qualità del tempo”, ecco cosa mi dice mio marito quando magari un po’ abbattuta, mi lamento che abbiamo poco tempo per noi, aggiunto il fatto che adesso ho ripreso il lavoro, altro sconvolgimento di un equilibrio che aveva raggiunto con non poca fatica, e ciò implica avere ancora meno tempo perché adesso oltre al marito e al bambino c’è anche il mio lavoro che mi ruba del tempo e quando torno il pomeriggio oltre che dare attenzione a Nicolò, c’è la casa da mandare avanti, la spesa da fare, le pulizie ecc…. ma quei momenti in cui mi fermo e sono con il mio bambino o con mio marito, acquistano una carica in più, sono più ricchi, hanno più valore, li desidero tanto e quando ci sono me li giusto!
Quando la domenica mattina di un anno e mezzo fa, sono comparse sul test di gravidanza le due linee, non sapevo cosa mi aspettava, non sapevo a quali gioie e a quali difficoltà sarei andata incontro. Ma quello di diventare mamma e papà, non è stato un avvenimento casuale, è stato qualcosa di scelto, di desiderato e di voluto con tutto il cuore e quello a cui sarei andata incontro non mi interessava più di tanto, avrei affrontato man mano quello che mi sarebbe capitato e così ho fatto. A sei mesi dalla sua nascita posso dire che di difficoltà ne ho passate, (il non capire cosa possa avere il bambino, l’impotenza quando non sta bene, difficoltà nell’allattare, la fatica di dormire meno la notte…) ma tutte ne sono sempre valse la pena e sono sempre svanite non appena, guardando quel bimbo così fragile e innocente, sul suo faccino compariva un sorriso! Le gioie sono molte di più e hanno più valore rispetto alle difficoltà!
In tutto questo la famiglia ha avuto un ruolo fondamentale, non so cosa avrei fatto senza di loro.  La famiglia è sostegno, la famiglia è amore, è coccole, è una mano tesa quando ne hai bisogno, è per essere molto concreta l’accompagnarti a fare gli esami del sangue tutti i mesi quando sei incinta, è lasciare quello che sta facendo e correre da te più veloce della luce se hai necessità, è venire a fare compagnia a te e al tuo bimbo anche dopo una giornata di lavoro, è cambiare e riadattare la propria quotidianità e abitudini per curare Nicolò quando mamma e papà sono al lavoro. Tutto questo e molto altro in modo sempre totalmente gratuito e sempre con il sorriso! La mia famiglia non smetterò mai di ringraziarla per tutto quello che ha fatto e sta facendo per me, mio marito e il mio bimbo!"

Mamma Fede


A presto!
Maura 

Empowerment e mamme: Ecco che da donna divento madre (Parte 2)

Storie di straordinaria quotidianità 
Una madre non dorme mai quando vuole. Essa è legata al sonno di suo figlio.
(Jean Gastaldi)


Dopo aver provato a capire cosa succede in teoria alle neomamme, passiamo ora alla concretezza!!
Abbiamo chiesto ad alcune mamme come è cambiata la vita dall’essere coppia ad essere genitore, quali sono state le gioie più belle e le difficoltà maggiori di questo passaggio, e come, l’avere accanto familiari, possa aiutare mamme e papà in questa avventura…
Nei prossimi post le loro risposte!

“Sarà un luogo comune... ma la vita ti si stravolge.
Questo è quello che mi dicevano tutti e negli "anni" che ho passato ad aspettare G. (si: anni perché ci è voluto veramente tanto tempo perché si decidesse ad arrivare) mi sono sempre chiesta in che modo sarebbe cambiata la nostra vita. Ero un po' preoccupata... avevo paura del "per sempre"... un bimbo arriva e sarai responsabile per sempre di questo cucciolotto. Ma per ora la vita ci è cambiata ma in modo più che positivo. E' tutto bellissimo. Ci sono alcuni momenti in cui io e mio marito ci chiediamo come fosse possibile la nostra vita senza di lui. I giorni scappano via veloci, siamo stanchi, veramente stanchi e mi chiedo... ma per che cosa mi stancavo prima? Adesso dormo poco e male, corro tutto il giorno, faccio sollevamento pesi, cucino, canto, ballo e raccolgo giochi da terra nello stesso momento e... sono contenta. Sono felice. Un bimbo è una gioia immensa, ti da una carica inimmaginabile. Mi sento di dire che è fondamentale per una coppia avere un cucciolo. Un bimbo arricchisce, ti fa crescere, ti fa vedere con altri occhi, ti fa amare come non avresti mai pensato...
E' ovvio, non sempre è facile, ti ritrovi da un giorno all'altro con un esserino da accudire e pensi: "e adesso che faccio?"... ma è la natura, il bimbo ti insegna e tu insegni a lui, e si cresce insieme e ci si corregge. Tante mamme lasciano poco spazio ai propri mariti, perché pensano non possano essere capaci. Io fin da subito ho "lasciato fare", ed è stato un bene perché adesso mio marito fa qualsiasi cosa... più o meno dai: all'outfit meglio che ci pensi io ;).
E vogliamo parlare dei nonni? Dio benedica i nonni perché senza sarebbe mille volte più difficile. Già da genitori sono fondamentali, da nonni poi conquistano quel valore aggiunto che ti salva in tante situazioni. Ti aiutano col bambino ma più che altro ti aiutano in tutte quelle faccende che nell'"avanti bimbo" erano piuttosto gestibili: stirare, cucinare, riordinare, lavarti, vestirti...
In conclusione, quindi, potrei dire che un figlio è la cosa più bella che possa capitare. Rafforza la coppia, perché si diventa famiglia, si scoprono nuovi aspetti del partner prima sconosciuti, c'è un vero e proprio rinnovamento, una nuova complicità. E per tutto questo e per molto altro ancora non posso che continuare a ringraziare.”

Mamma C

Continuate a seguirci per leggere la prossima esperienza!!!
Maura