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Questo blog nasce all’interno del nostro percorso in Psicologia del benessere, una nuova aria che si respira tra i corridoi della Facoltà.

L’idea è far scoprire alle persone le potenzialità che hanno per poter affrontare al meglio le sfide di ogni giorno.

Abbiamo deciso di avventurarci nel mondo dell’empowerment familiare, perché, attraverso le nostre esperienze abbiamo avuto modo di toccare con mano quanto sia importante la famiglia come fonte di supporto e come fattore protettivo, ma anche come questa, in alcune situazioni particolari della vita, possa aver bisogno di un aiuto!

Curiosi di saperne di più? vi aspettiamo qui!! :)

Alice & Maura

mercoledì 30 marzo 2016

Cinema e dintorni: Il Lato Positivo. Una storia di empowerment familiare e disturbo bipolare

Come vive una persona bipolare, e come possono aiutarla i familiari?

Oggi, 30 Marzo, è la giornata mondiale del disturbo bipolare, ecco che vogliamo proporvi per la nostra rubrica Cinema e dintorni, una visione sorprendente: Il Lato Positivo


"Il mondo ti spezza il cuore in ogni modo immaginabile, questo è garantito. 
Io non so come fare a spiegare questa cosa, né la pazzia che è dentro di me e dentro gli altri, ma indovinate un po'? Domenica è di nuovo il mio giorno preferito! Penso a tutto quello che gli altri hanno fatto per me e mi sento tipo... Uno molto fortunato!"


Il Lato Positivo è un film che ti lascia dentro un turbinio di emozioni, dalla rabbia alla nostalgia, dal dolore alla tenerezza e..non per ultimo..l'amore.
E' un film che la prima volta che l'ho visto, mi ha lasciato senza fiato, poichè mostra, in tutta la sua crudezza, le difficoltà di vivere con un figlio bipolare, ma sopratutto le difficoltà di essere affetti da un disturbo bipolare; un disturbo che può condizionare il tuo vivere, le tue relazioni, ma Pat Solitano riesce a differenziarsi dalla malattia che lo affligge, lui non è la sua malattia.
Pat torna a casa dopo un periodo di degenza in un ospedale Psichiatrico, a causa del bipolarismo emerso dopo aver sorpreso il tradimento della moglie. La rabbia si impossessa di lui, non è più un semplice passaggio momentaneo, in seguito ad un evento specifico, ma diventa parte stessa della sua personalità.
L'alternanza dell'attivazione psichica di Pat è molto forte e violenta, anche aggressiva, e si nota tutte le volte che il protagonista pensa al suo matrimonio passato e sopratutto, quando sente una canzone, che lo lega a ricordi con la sua ex moglie.
La ripresa non è facile, anzi..tutt'altro.
Ma a Pat non mancano resilienza, empowerment e buone relazioni sociali. Tutto sembra iniziare a cambiare e ad assumere un senso diverso, quando avviene l'incontro/ scontro con Tiffany, una ragazza anch'essa affetta da problemi psichiatrici, con una sessualità definita promiscua, tanto da aver costretto i suoi colleghi ad allontanarla dall'ufficio.

E così pian piano Pat, impara altri modi per sfogare la propria rabbia e per gestire i propri sbalzi d'umore, inizia a correre, e grazie alle vicende che si intrecciano con Tiffany, impara a ballare.
Solo dopo questo lungo percorso, il protagonista riesce a riprendersi in mano la vita, a percorrere la sua strada e a credere ancora nei legami, quelli veri.
Quello che ci aiuta a comprendere questo film, è che il rapporto con la nostra personalità, che scopriamo e accettiamo pian piano, non è sempre facile, sopratutto quando ad emergere, non sono comportamenti positivi ma negativi; quando per venirne fuori, l'essere da soli davanti al problema, non basta.

Il disturbo bipolare, in realtà, si inserisce in uno spettro di sintomi che il DSM V, (Manuale disgnostico e statistico dei disturbi mentali), si distinguono poi principalmente in disturbo bipolare 1, disturbo bipolare 2.
Questo tipo di disturbo, è caratterizzato da un'alternanza di periodi di eccitamento (mania), e periodi di inibizione dell'attività psichica.
La disregolazione porta inevitabilmente anche ad un'alternanza nell'equilibrio dell'umore, alterazioni del contenuto dei pensieri e della motricità, difficoltà nel mantenere il ritmo sonno-veglia, con anomalia anche a livello della libido e dell'appetito.
Si può capire anche intuitivamente, come vivere con un familiare con problemi psichiatrici di questo tipo, non sia facile, sopratutto quando le emozioni e i comportamenti subiscono dei cambi repentini e sono quindi poco controllabili e prevedibili. E' difficile, ma non impossibile.. e questo film ce lo dimostra in una maniera semplice e reale.

Ciò che fa sorridere nel film, è che siano proprio due persone con difficoltà psichiche, ad aiutarsi talmente tanto, da riuscire ad uscirne vincitori, laddove familiari e medici hanno "fallito" nel loro intento.


"L'unico modo per sconfiggere la mia pazzia era facendo qualcosa di ancora più pazzo. Grazie. Ti amo. L'ho capito dal momento in cui ti ho visto. 
Mi dispiace mi ci sia voluto così tanto tempo per recuperare!"


Buona Visione!
Maura & Alice

venerdì 25 marzo 2016

Cinema e dintorni: Zootropolis, resilienza e voglia di farcela!

Zootropolis, a scuola di "Non mi arrendo"!


“Zootropolis è il luogo dove i nostri antenati hanno scelto di vivere in pace e dove ognuno può essere ciò che vuole.”

Zootropolis è il nuovo successo targato Disney diretto da Byron Howard e Rich Moore, nelle sale cinematografiche da circa un mese, che vi proponiamo oggi a Cinema e dintorni.
Il cartone racconta le vicende di Judy, una coniglietta di provincia che vuole diventare agente di polizia. Il suo sogno può realizzarsi a Zootropolis la città in cui ognuno può essere ciò che vuole e i mammiferi vivono in sintonia tra loro. Tuttavia non è facile essere una coniglietta poliziotto, circondata da prestanti mammiferi giganteschi e dimostrare a sé e agli altri di essere all’altezza del compito e della divisa.

“I won’t give up, no I won’t give in
Till I reach the end
And then I’ll start again
Though I’m on the lead
I wanna try everything
I wanna try even though I could fail
I won’t give up, no I won’t give in
Till I reach the end
And then I’ll start again
No I won’t leave
I wanna try everything
I wanna try even though I could fail”


Judy riesce a distinguersi durante l’addestramento e con orgoglio a essere ammessa alla caserma della centrale. È qui che inizierà la sua vera sfida: dimostrare a tutti i grandi e possenti animali che la circondano che anche lei può farcela... perchè a Zootropolis ognuno può essere ciò che vuole.

La trama e la canzone dovrebbero riportarvi un concetto molto caro al nostro blog: la resilienza. Judy è una coniglietta coraggiosa e resiliente... oltre che impegnata nella lotta contro il bullismo. Si impegna a fondo e davanti alle situazioni più difficili o alle sconfitte personali mette in atto strategie di rivalutazione positiva di ciò che le è accuduto, cercando un modo per migliorare sempre. Si concentra tanto sul presente, quanto sul futuro e prova a rileggere in modo positivo la sua vita. Diventando così anche modello di cambiamento per altri un po' "più scoraggiati".

Prendiamo esempio da Judy sopratutto in questi giorni di difficoltà per il mondo.

A me è sembrato che questo film porti con sè un messaggio di speranza da condividere a gran voce: una città gigantesca in cui tante specie animali diverse, prede e predatori, erbivori e carnivori, vivono in sintonia, dando la possibilità a tutti di realizzare i propri sogni... ed essere felici! Tiriamoci su le maniche e diamo vita a questa città anche al di fuori del mondo cinematografico.

“Hai ragione solo su una cosa: io non mollo mai!”

Buona visione!

Alice

lunedì 21 marzo 2016

Cinema e dintorni: How do you see me? La sindrome di Down

"Perché il problema resta quello di sempre, l'indifferenza è un muro trasparente" 
Nek, Credere Amare Resistere




Ecco online la nuova campagna di comunicazione dell’associazione CoorDown Onlus, pensata in onore della giornata mondiale sulla sindrome di Down.#howdoyouseeme, ve la riproponiamo oggi per la nostra rubrica Cinema e dintorni.
Le due protagoniste al femminile nel video sono rispettivamente Olivia Wilde e AnnaRose, ragazza con la Sindrome di Down.

Nel video la vita di AnnaRose è interpretata da Olivia Wilde; Una giovane donna dallo sguardo fiero, profondo, si guarda allo specchio e racconta come si vede: "This is how I see myself", "As a person you can rely on", le emozioni, i sentimenti, i traguardi raggiunti.
L'obiettivo è quello di promuovere una riflessione su come le persone affette da Sindrome di Down vedono se stesse, in confronto a come queste sono viste dagli altri, essendo spesso vittime di discriminazioni basate su preconcetti e stereotipi. 

I pregiudizi e gli stereotipi, accompagnano da sempre, l'esistenza umana. In particolare il pregiudizio, viene definito in letteratura, come un giudizio precedente all’esperienza o in assenza di
dati sufficienti. Identifica inoltre, quella tendenza dell'uomo, a considerare in modo ingiustificatamente sfavorevole o favorevole un determinato gruppo sociale e i suoi componenti.
Questo si crea in maniera dinamica nei bambini e negli adulti, nel momento in cui si cerca in autonomia di capire e valutare il mondo sociale a partire dalle proprie risorse cognitive.
Accanto al pregiudizio, troviamo il concetto di discriminazione, che viene definito invece come l'insieme di comportamenti positivi o negativi diretti a individui sulla base della loro appartenenza a un determinato gruppo sociale, o, come ci presenta AnnaRose in questo filmato, in base alla loro disabilità.
Insieme a questi concetti, possiamo definire gli stereotipi sociali. Questi hanno origine da un processo di categorizzazione sociale, cioè nell'attribuzione di alcuni tratti in comune a tutti gli individui che sono membri di un gruppo e nell’attribuire ai membri stessi, alcune differenze rispetto a membri di altri gruppi. Gli stereotipi sociali, introducono la semplicità e l’ordine, là dove sono presenti complessità e variabilità.
L'uomo, è quindi portato a compiere delle categorizzazioni sociali, per semplificare la quantità innumerevole di informazioni che gli arrivano dall'esterno.
Spesso davanti al "non noto", vengono messi in atto dei comportamenti di difesa, che portano a mettere in campo stereotipi e pregiudizi inefficaci e negativi, e purtroppo questo accade molto frequentemente quando si incontra la disabilità.
E' il processo di pensiero che viene guidato dal sistema intuitivo, veloce, spesso non conscia.
Da qui l'importanza di conoscere questo modo che ognuno di noi ha di categorizzare le cose e le persone, per contrastarlo quando fallisce, e quando ci porta a compiere delle considerazioni poco funzionali o poco etiche.

Questo è quello che ci insegna questa campagna, anche se tutti vedono in AnnaRose, una ragazza affetta dalla sindrome di Down, AnnaRose non è la sindrome di Down, ma è una figlia, una sorella e molte altre cose.
"Come mi vedi?", potrebbe anche fare da sfondo a molte conversazioni con amiche, con adolescenti, e con ragazzi e ragazze che incontriamo ogni giorno, ma anche a molte conversazioni fatte allo specchio, con noi stessi.


La campagna ‘How Do You See Me?’ è stata realizzata insieme a DSi – Down Syndrome International e con il contributo di Down Syndrome Australia, Down’s Syndrome Association (UK), Fondation Lejeune e Les Amis d’Eléonore (Francia).


Alice& Maura

Fonti:
Brown Rupert, Psicologia del pregiudizio, 2013

venerdì 18 marzo 2016

Un pomeriggio al SAPRE, un servizio di empowerment familiare per i genitori

 “Un servizio per i genitori nato dai bisogni dei genitori”


Oggi vi vogliamo presentare il SAPRE-UONPIA, un servizio all’interno della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano, facente parte del dipartimento di Neuroscienze di salute mentale, U.O. Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (UONPIA), avente come dirigente medico la dott.ssa Antonella Costantino.
Abbiamo scelto di andare ad incontrare il personale professionista di questo Servizio, perché in linea con la nostra idea di Empowerment Familiare e di sostegno delle risorse residue della famiglia, anche in caso di confronto con la disabilità e le difficoltà che una malattia può portare all’interno del nucleo familiare.
Il SAPRE è un Servizio di Abilitazione Precoce per i Genitori con bambini affetti da Atrofia Muscolare Spinale (SMA) e altre gravi malattie metaboliche e neuromuscolari, gravemente invalidanti. L’obiettivo principale e la Mission di questo servizio sono quelle di insegnare ai genitori a:
  •  Sviluppare le abilità necessarie a gestire la prassi ordinaria e straordinaria della vita quotidiana;
  • Saper gestire in modo concreto ed efficace il rapporto con il Sistema Sanitario Nazionale, le istituzioni, gli enti e le associazioni
  •  Mantenere il proprio stato di salute mentale preesistente allo scontro con la patologia del figlio
Abbiamo chiesto alla dott.ssa Chiara Mastella, Fisioterapista e Counselor Sistemico Sanitario, fondatrice del SAPRE, come è nato questo servizio e perché:
“Io nasco come fisioterapista del 1986, e a quel tempo, i metodi di riabilitazione erano fortemente centrati sull’addestramento dei genitori. L’addestramento dei genitori aveva però un problema importante: per utilizzare il genitore come esecutore di tecniche, occorre gestirne la motivazione nel tempo. Quello che non dicevano quelle tecniche, è che il bambino non sarebbe tornato un bambino normale, ma sarebbe rimasto per tutta la sua vita un bambino gravemente disabile con i danni strutturali e biologici tipici della malattia. La riabilitazione insegnava strumenti, tecniche ed esercizi che potevano migliorare alcune performance. Tuttavia, il genitore si scontrava con il tempo, la fatica e l’impegno e nonostante questo, il bambino restava disabile.
Oltre a tutte le tecniche internazionali di allora Doman, Bobath, Vojta ecc, venni a conoscenza della metodica “Pedagogia conduttiva” di Andras Petò a Budapest nel trattamento di paralisi cerebrali infantili (PCI). Andai quindi, ad imparare questa metodica e mi si aprì un mondo: come far fare la pipì, la cacca al bambino, come abituarlo a vivere nel quotidiano con la sua disabilità. Anche se non c’erano prospettive di guarigione venivano insegnate cose semplici e apparentemente banali: i bambini gravi rimanevano gravi ma potevano acquisire abilità che non avevo mai considerato prima.
I trattamenti riabilitativi in Italia, erano legati ai centri di riabilitazione pubblici negli ospedali, come le varie UONPIA, con risorse limitate e quindi, con percorsi limitati sulle famiglie e con tempi di attesa lunghissimi, oppure erano affidati ai servizi privati e convenzionati, che magari davano qualche prestazione in più, ma il cui modello era sempre quello “terapista sul bambino”. Al genitore si diceva “Fai il genitore che al bambino ci penso io”: peccato che fare il genitore di un bambino gravemente disabile non sia come educare un figlio sano.”

Ed è forse questo uno dei punti cruciali con una coppia di genitori, di un bambino, malato di una malattia incurabile, deve fare i conti: confrontarsi con attese diverse, scontrarsi con le difficoltà quotidiane che si possono presentare nella gestione, nella crescita e nell’educazione del proprio figlio, diverse rispetto a quelle che si presentano nell’affrontare la crescita di un bambino sano.
“Nel frattempo mi era stato chiesto di contenere questo intervento sulle PCI per una serie di motivi legati anche al grave conflitto che si creava con i servizi sul territorio.
Così mi sono dedicata alla passione per la SMA, che già era iniziata parallelamente a questo percorso, e dove maggiormente l’intervento sui genitori mi sembrava adeguato, dato che il bambino SMA nessuno lo prendeva in carico e impone ai genitori un’intensità di assistenza da subito, che non è solo la fisioterapia ma anche legata alla respirazione, all’alimentazione e soprattutto alla morte.
Questo mi ha spinto a cercare una formazione come Counselor Sistemico Sanitario, che esplorava all’interno del nucleo familiare tutte le domande, le problematiche, ma anche le possibili risorse, attraverso piccole interviste, lo stare con le famiglie, il mangiare insieme, giocare, andare a trovarle, rispondere alle telefonate 24 ore su 24. Il nostro ruolo non era quello di far finta: muovere un braccio o una gamba dicendo di occuparci così di una famiglia, in realtà occuparsi della famiglia è un investimento grande della risorsa operatore.”

La grande motivazione alla base del SAPRE-UONPIA e dei suoi professionisti, è quella di cercare di tirare fuori salute dal nucleo famigliare costruito precedentemente l’incontro, o scontro, con il bambino malato. L’obiettivo principale è che la famiglia possa sopravvivere e rimanere sana di fronte al dolore terribile della morte di un figlio, dato che “i bambini con la SMA muoiono tutti i giorni e tutte le settimane”. Nonostante la famiglia diventi pian piano capace di far crescere un bambino, la SMA è incurabile e, “vince sempre sull’uomo”.
“Nel 1998 incontro Cesare, bambino SMA1 e il suo papà Gianfranco Baldinotti, che mi disse “Tu cosa vuoi fare da grande? Tu aiutami e insieme faremo un servizio per genitori. Quello che mi interessa è saltar fuori dalla malattia di Cesare perché lui morirà, ma noi sopravviveremo a lui”.
NEL 2000 presentammo il “Progetto Abilità” al Settore Famiglia del Comune di Milano per poter fondare il SAPRE la filosofia che lo sostiene. Inaspettatamente, vincemmo il primo premio, un miliardo di lire: io Terapista e Counselor e Gianfranco genitore e ingegnere. Essendo diviso in tre anni e vinto attraverso l’allora ICP, Istituto di Perfezionamento, (dal 1995 Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico), era una cosa troppo grande per un’azienda forse non ancora pronta. Dentro questa vincita nasce il servizio SAPRE, Servizio Abilitazione Precoce dei Genitori, il cui obiettivo è quello di fornire conoscenze, competenze, abilità e motivazione per essere una coppia genitoriale di un bambino con la SMA o con altre malattie metaboliche rare, gravemente invalidanti, a prognosi altamente infausta. Con il premio ridotto dopo il passare degli anni, abbiamo allestito e costituito il centro all’interno dell’ICP (ora Policlinico), con l’obiettivo famiglia che rimane il motore principale.”

Tutto si gioca nel capire la relazione della coppia genitoriale, la relazione tra i parenti, tra chi c’è in casa e vive con in contatto con il bambino, per questo sono invitati a recarsi al servizio tutti quelli che possono supportare la genitorialità competente.
Come ci racconta la Dott.ssa Mastella, ci sono alcune cose pratiche che occorre imparare legate alla malattia, che diano sicurezza e capacità di muoversi anche con il Servizio Sanitario, con la suola, i medici e che possano aiutare la famiglia ad affrontare il dolore all’aggravamento della malattia, ad informare il bambino sulla sua malattia (a seconda del livello cognitivo) e aiutarlo ad affrontare il peggioramento della stessa, fino alla morte.
“I binari essenziali, quindi, quando incontro una famiglia sono quelli della Mission del SAPRE: è importante che i genitori diventino i migliori genitori per quel bambino e che, anche se lui muore, i genitori rimangano genitori. È importante per la famiglia e per il bambino SMA, trovare soluzioni per vivere il poco tempo con soddisfazione, con la consapevolezza di essere passato di qua, di essere venuto a trovare questa famiglia e poi fare le valigie e partire per un altro viaggio. Per il SAPRE è quindi importante il sostegno e il rinforzo della motivazione, la conoscenza e le competenze della famiglia, l’Empowerment e mantenere la salute genitoriale anche dopo la morte del bambino.”


Oltre all’impegno quotidiano nel sostegno alla famiglia e ai bambini, ogni anno durante l’estate il SAPRE organizza uno stage residenziale teorico pratico, di formazione per genitori, fratelli e altri, di bambini affetti da SMA con carrozzina elettronica: “Mio figlio ha una 4 ruote”, giunto quest’anno alla sua 8° edizione.



SAPRE-UONPIA 
(Settore di Abilitazione Precoce dei Genitori - Unità Operativa di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza)
Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico; Viale Ungheria, 29 - 20138 – Milano



http://www.sapre.it/



A presto!
Maura &Alice

martedì 15 marzo 2016

ADHD, un campus per famiglie

Chiacchiere al telefono con la dott.ssa Sgroi


“Là dove vi è la sfida di un ragazzo che cresce, là vi sia un adulto a raccogliere tale sfida.”
(Winnicot)


Nella settimana sull'ADHD abbiamo contatto la dott.ssa Sgroi che, in collaborazione con il Servizio di Psicologia dell’Apprendimento e della Educazione (SPAEE) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Associazione Italiana Famiglie ADHD AIFA Onlus, ha organizzato il campus estivo ADHD family training, pensato per famiglie con bambini affetti da ADHD, per farci raccontare da una esperta il ruolo chiave che la risorsa famiglia gioca all’interno di una diagnosi di questo tipo.

La terapia elettiva per l’ADHD è la terapia multimodale: significa offrire un intervento alla famiglia, alla scuola e al bambino.

L’intervento alla famiglia, detto Parent Training, è la parte fondante di tutta la terapia dato che il bambino trascorre la giornata con la famiglia. I genitori, attraverso il Parent Training, imparano alcune strategie relazionali idonee ad aiutare il figlio a migliorare il suo comportamento e a superare i suoi ostacoli. Vi sono, poi, interventi educativi, detti Child Training, rivolti al bambino, che hanno lo scopo di migliorare alcune aree deficitarie come l’attenzione, il comportamento impulsivo, le abilità sociali. Di solito questi due interventi vengono affrontati in modo separato e la famiglia sa poco di quello che fa il bambino e il bambino non sa cosa fanno i genitori “Così abbiamo pensato, anche sulla base delle poche esperienze italiane e alcune fatte all’estero, di offrire una esperienza di campus familiare. Abbiamo pensato di unire anche l’aspetto della vacanza per rendere più piacevole la situazione. Tutto parte da qui, poi si è cercato un posto di vacanza comodo per dare la possibilità di partecipare a tutte le famiglie d’Italia, quindi non lo facciamo in provincia di Milano ma a Massa, comodo per le famiglie di altre regioni.

 “Le necessità fondamentali di un bambino con ADHD sono quelle di poter vivere con dei ritmi prevedibili, quindi, una organizzazione delle regole con delle routine che non cambiano mai”. Tutto questo perchè il disturbo ADHD porta il soggetto a vivere caoticamente, quindi è necessario che la quotidianità sia regolata. Questo è possibile soprattutto grazie alla famiglia. “Per esempio è importante aiutare il bambino a svegliarsi sempre alla stessa ora e compiere sempre gli stessi gesti, non in modo da diventare robot, però da dare la possibilità di automatizzare. Per esempio: uno la mattina si alza e tira su i bambini per portarli a scuola, non sono ADHD e allora in base al momento “dai vieni prima tu!” o “fai prima la colazione e poi ti vesti!” o “senti, vestititi che intanto ti preparo la colazione!”. Con un bambino ADHD è importante stabilire delle sequenze che vanno sempre rispettate, perché il bambino ADHD tende a procrastinare e si distrae facilmente: se le azioni da compiere non sono automatizzate, quindi non devono essere decise momento per momento, anche solo il semplice alzarsi la mattina e andare a scuola può diventare un problema per tutta la famiglia! Al campus si è lavorato soprattutto su questa dimensione durante il Parent Training: insegnare queste regole e costruire insieme dei planning della giornata per aiutare meglio i genitori a organizzarsi.

Inoltre, il Parent Training fornisce supporto alla famiglia nel modificare gli interventi educativi. Di solito, infatti, gli schemi educativi tradizionali, prevedono che se un bambino fa qualcosa viene punito. Con un bambino ADHD che meriterebbe sempre di essere sgridato, perché il suo deficit neurobiologico lo spinge ad agire impulsivamente e distrattamente e iperattivamente, un eccesso di punizioni e di sgridate va a sommarsi a tutte le critiche che riceve negli altri ambiti e quindi “bisogna un po’ salvaguardare l’autostima di questi ragazzi”.  Si suggerisce  quindi ai genitori di modificare i loro interventi educativi mettendo piuttosto in risalto le risorse positive dei loro figli. Si suggerisce anche di utilizzare premi e gratificazioni che,  se associate al comportamento corretto, favoriscono il ripresentarsi di tale comportamento. Dunque, si insegna ai genitori come e quando punire modificando il comportamento educativo tradizionale.

I genitori hanno la possibilità di aiutare i figli anche nello sviluppo relazionale. “I genitori possono, vivendo con loro tutti i giorni, favorire le occasioni di socializzazione ma anche suggerire le modalità corrette di relazionarsi che spesso i bambini con ADHD non hanno”.

Ai genitori inoltre, durante il Parent Training, è indicato come migliorare la vita scolastica del bambino: qual è l’aiuto più efficace per i compiti a casa, come migliorare il dialogo scuola-famiglia (essenziale come supporto allo studente), ecc. 

Del campus ci saranno altre edizioni. Sarà la struttura organizzatrice a divulgare l’informazione attraverso i canali più consoni che possono essere i pazienti dei professionisti coinvolti, le neuropsichiatrie territoriali, i centri ADHD e le associazioni di famiglie.


Continuate a seguirci.. nel weekend nuovi spunti!

Alice&Maura

lunedì 14 marzo 2016

ADHD, una guida pratica nella gestione quotidiana

Vorrei scappare in un deserto e gridare 

"La madre di un suo compagno di classe mi ha detto che non sappiamo fare i genitori e che non è possibile che mio figlio quasi tutti i giorni disturba sempre il suo bambino... Vorrei scappare in un deserto e gridare..."


Nella nostra settimana sull'ADHD, vi presentiamo oggi un libro particolare, una raccolta di lettere e di scritti di genitori di bambini: Vorrei scappare in un deserto e gridare.
Il sottotitolo già ci aiuta a capire un po' di più: Una guida pratica all'ADHD attraverso le storie di tutti i giorni di bambini iperattivi e disattenti.
Abbiamo già parlato di ADHD e dei suoi sintomi principali, di come si manifesta e delle strategie che possono essere messe in atto, quando ci si relaziona con bambini iperattivi, o i vari tipi di presa in carico presenti, ma tutto questo, visto e raccontato da parte di un esperto.

Abbiamo voluto proporvi oggi questa lettura, proprio perchè una raccolta di esperienze da parte di genitori, raccontate ad altri genitori. Oltre ad essere un libro di grande attualità, può essere infatti, un aiuto vero e concreto per i genitori che vogliono saperne di più su quella quotidianità con l'iperattività, che anche loro vivono e in cui, a volte, il personale qualificato e professionale, fa un po' fatica ad inserirsi.
Non è facile gestire 24 ore su 24, i comportamenti "problema" dei bambini, e sopratutto, è molto diverso farlo da genitori piuttosto che terapisti che vedono e si relazionano con il bambino per poche ore la settimana, magari con una frequenza frammentaria.
A casa...a scuola... è una storia diversa...e forse richiede una piccola attenzione in più!!!!
Speriamo che questo libro, possa aiutare quei genitori che hanno bisogno di un appoggio, di un momento per sentire che tanti altri genitori hanno le loro stesse paure, portano sulle spalle le loro stesse fatiche, condividono le stesse gioie.
Il sentirsi capiti, rafforza la propria autoefficacia e il senso del proprio sè, nonché aiuta a non sentirsi soli.
Il condividere, come hanno fatto questi genitori, aiuta verso un' "apertura all'altro" (self- disclosure), che ha come spinta motivazionale la gratificazione personale, il raccontare qualcosa perchè in fondo, la condivisione, ha un legame stretto con la soddisfazione e con il creare legami.


Per saperne di più: http://www.stateofmind.it/2012/12/condivisione-gratificante/
Nel libro sono spiegati anche alcuni termini tecnici in un glossario presente nella seconda parte, un aiuto concreto per chi forse non è proprio addetto ai lavori e a volte si trova a dover combattere con quei termini sempre poco chiari e difficilmente comprensibili, utilizzati dal personale ospedaliero e non.
Troviamo anche un capitolo dedicato alla scuola, con accenni ai disturbi dell'apprendimento che spesso accompagnano i bambini con ADHD, e un capitolo sull'adolescenza e l'età adulta e di come sia possibile aiutare i bambini e i ragazzi, non solo i genitori, ad affrontare questi periodi di passaggio e di cambiamento.

Prima di lasciarvi alla lettura, vi regaliamo questa lettera tratta dal libro:

"Spesso mi è stato chiesto di descrivere l’esperienza dell’avere un bambino con una disabilità, di provare ad aiutare persone che non hanno condiviso questa esperienza, a capirla, a immaginare cosa si prova. E così… 
Quando stai per avere un bambino, è come programmare un favoloso viaggio in Italia. 
Compri una guida sull’Italia e fai dei meravigliosi progetti. Il Colosseo. Il David di Michelangelo. Le gondole a Venezia. Cominci a imparare alcune frasi in italiano. Tutto è molto eccitante. Dopo qualche mese di sogni anticipati, 
il giorno finalmente arriva. Fai le valigie e parti. Alcune ore più tardi, l’aereo comincia ad atterrare. Lo stewart entra e dice: “Benvenuti in Olanda”. 
“Olanda?” domandi. “Cosa significa Olanda? Io ho comprato un biglietto per l’Italia!” 
“C’è stato un cambiamento nel piano di volo. Abbiamo optato per l’Olanda e qui devi stare…”. 
La cosa importante è che non ti hanno portato in un orribile, disgustoso posto pieno di pestilenza, carestia e malattia. È solo un posto diverso. Così devi andare a comprare una nuova guida. E devi imparare alcune frasi in una nuova lingua. E incontrerai nuovi gruppi di persone che non avresti altrimenti incontrato. 
È solo un luogo diverso. È più calmo e pacifico dell’Italia, meno abbagliante dell’Italia. Ma dopo che sei lì da un po’, prendi confidenza, ti guardi intorno…e incominci ad imparare che l’Olanda ha i mulini a vento…e l’Olanda ha i tulipani…e l’Olanda ha Rembrandt. Però, tutti quelli che conosci sono occupati ad andare e venire dall’Italia…e ognuno si vanta di quale meraviglioso periodo ha trascorso là. E per il resto della tua vita, tu dirai: “Si, quello era il luogo dove avevo progettato di andare. È ciò che avevo programmato”. E la pena di tutto ciò non se ne andrà mai, mai, mai, mai…perché la perdita dei propri sogni è una perdita molto significativa. Ma… se passerai la vita a piangerti addosso per il fatto che non sei andato in Italia, non sarai mai libero di godere delle cose molto, molto speciali e molto amabili… dell’Olanda.

Emily Per Kingsley
Germania 25 marzo 2002"


Fonti
"Vorrei scappare in un deserto e gridare...", Una guida pratica all’ADHD attraverso le storie di tutti i giorni di bambini iperattivi e disattenti, di Raffaele D'Errico (Autore), Enzo Aiello (Autore), S. Deflorian (Illustratore), Giuseppe De Nicola EditoreTamir, D. I., & Mitchell, J. P. (2012). Disclosing information about the self is intrinsically rewarding. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America, 109Aifa Onlus


A presto! 
Maura & Alice

domenica 13 marzo 2016

ADHD, una base teorica per capirne di più

Cosa si intende, come si manifesta, quali strategie adottare...

"E per il resto della tua vita, tu dirai: “Si, quello era il luogo dove avevo progettato di andare. È ciò che avevo programmato”. E la pena di tutto ciò non se ne andrà mai, mai, mai, mai…perché la perdita dei propri sogni è una perdita molto significativa. Ma… se passerai la vita a piangerti addosso per il fatto che non sei andato in Italia, non sarai mai libero di godere delle cose molto, molto speciali e molto amabili… dell’Olanda."

Emily Per Kingsley, Germania 25 marzo 2002, 


Questa settimana ci addenteremo insieme, in un campo specifico, quello dell'ADHD, Deficit di Attenzione e Iperattività.

Prima di presentarvi, nei prossimi giorni, un’esperienza particolare di Campus per i bambini con ADHD e le loro famiglie, cerchiamo di capirne qualcosa in più, provando ad entrare nel contesto di questo deficit, insieme alla Dott.ssa Chiara Valenti, esperta dell’area Formazione dello SPAEE, Servizio di Psicologia dell’apprendimento e dell’educazione in età evolutiva, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Cosa si intende con la dicitura ADHD?
L’ADHD è l’acronimo dell’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività). Si tratta di un disturbo dello sviluppo neuropsichico che si manifesta nell’infanzia ed è caratterizzato, appunto, da inattenzione e impulsività/iperattività. I bambini che presentano l’ADHD non sono in grado di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
La disattenzione può essere definita come un’evidente difficoltà a stare attenti e a lavorare su un compito per un tempo adeguatamente prolungato. Nei bambini queste difficoltà si manifestano a scuola, nel gioco e nelle situazioni sociali. Nei contesti ludici spesso passano da un gioco ad un altro, senza portarne a termine nemmeno uno. 
A scuola compaiono molti errori di distrazione e i lavori sono incompleti e disordinati, soprattutto quando i compiti non sono attraenti e motivanti.
L’iperattività consiste in un eccessivo livello di attività motoria e vocale. Si manifesta come una continua agitazione e come incapacità a rimanere fermi e seduti.
Infine l’impulsività consiste nella difficoltà ad aspettare a dare una risposta, a inibire un comportamento non adatto al contesto nel quale ci si trova, ad attendere una gratificazione. Si manifesta con una grande impazienza, ma anche con la tendenza a mettere in atto azioni pericolose senza considerare le possibili conseguenze negative. 

Secondo i criteri del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM) esistono tre sottotipi di ADHD: 
- ADHD Tipo combinato: i sintomi di inattenzione e iperattività/impulsività sono presenti nella stessa misura;
- ADHD Tipo con Disattenzione Predominante: i sintomi di inattenzione sono maggiori di quelli di iperattività/impulsività;
- ADHD Tipo con Iperattività-Impulsività Predominanti: i sintomi di iperattività/impulsività sono maggiori di quelli di inattenzione.

A quale età è possibile avere una diagnosi?
Prima di tutto, è importante ricordare che la diagnosi deve basarsi sulla classificazione del DSM per una valutazione accurata del bambino, condotta da operatori con specifiche competenze sulla diagnosi e sulla terapia dell’ADHD.
Tale valutazione deve sempre coinvolgere diverse figure: oltre al bambino, i suoi genitori e gli insegnanti. Occorre raccogliere, da diverse fonti, informazioni sul comportamento e sulla compromissione funzionale del bambino e devono sempre essere considerati sia i fattori culturali che l’ambiente di vita. A tal fine si utilizzano strumenti quali questionari (es. SDAI, SDAG, Scale Conners, SCOD e altri) e interviste diagnostiche, opportunamente standardizzati e validati. 
ll deficit attentivo può essere presente già in età prescolare. A quest’età è però molto difficile formulare una diagnosi differenziale con altri disturbi e definire con certezza il livello di compromissione del funzionamento globale. In questi casi si ricorre, in genere, a una diagnosi provvisoria che andrà aggiornata negli anni successivi.
Tipicamente il disturbo si manifesta però all’ingresso della Scuola Primaria (attorno ai 6-7 anni), quando le richieste provenienti da un contesto maggiormente strutturato rispetto alla Scuola dell’Infanzia fanno emergere in maniera evidente i sintomi associati al disturbo.


Come aiutare i genitori a capirne i primi sintomi?

Segnali significativi sono i seguenti:
- un’eccessiva vivacità rispetto ai coetanei;
- difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti e sulle attività di gioco;
- evidente sbadataggine e disorganizzazione, con la tendenza a perdere ogni cosa;
- lamentele da parte delle insegnanti per un’eccessiva irrequietezza, per l’incapacità di stare seduto al proprio posto e di aspettare il proprio turno per rispondere;
- aggressività nei confronti dei compagni e/o dei genitori e delle maestre;
- una tendenza ad essere sempre in movimento, come “guidato da un motorino”;
- sembra non ascoltare quando gli altri parlano, ha la testa fra le nuvole.

Se alcuni di questi sintomi si sono manifestati nel proprio bambino prima dei 7 anni di età e per un periodo superiore ai 6 mesi, è opportuno intraprendere una valutazione psicodiagnostica per l’ADHD.
Come precedentemente ricordato, per fare la diagnosi occorre una valutazione globale del bambino che dovrebbe includere un assessment clinico del funzionamento scolastico, sociale ed emotivo-affettivo e delle competenze sviluppate. 

È possibile insegnare ai bambini delle strategie per compensare questo deficit e per renderli più consapevoli delle proprie difficoltà?
Anche se non è semplice, è sicuramente possibile insegnare ai bambini delle strategie per compensare il deficit.
Cordula Neuhaus, psicopedagogista e terapeuta comportamentale che da anni si occupa di ADHD, ha definito alcune regole ferree che possono aiutare a gestire il comportamento di un bambino con tale Disturbo, tra queste ricordo: 
Richiedere un comportamento con tono pacato, gentile, ma fermo (es. “Mario, per favore svolgi il compito che ti è stato assegnato, fra 30 minuti te lo controllo”). 
Elencare in anticipo quali sono le attività da svolgere, preparando possibilmente una lista scritta, ancora meglio se corredata da immagini, delle attività della giornata. 
Non dare spazio a discussioni o a rifiuti verbali. 
In una critica o nella discussione di un problema restare assolutamente aderenti a quella situazione, non estendere ad altri comportamenti problematici che riguardano il bambino/ragazzo. Esempio: “Giovannino, riordina la tua scrivania, non c’è più spazio”. Non: “Sei sempre svogliato, la tua camera è un disastro, dimentichi sempre di mettere i materiali nella cartella, a scuola non ti impegni, a casa non aiuti”. 
I bambini con ADHD sono particolarmente sensibili alla mimica facciale, ai gesti e al tono della voce; se ci si accorge che la tensione sta salendo, occorre abbassare lo sguardo e la voce, per evitare che il bambino si ponga in atteggiamento di difesa o di contrasto. 
Per la correzione dei comportamenti inadeguati, utilizzare spesso il contatto corporeo (ad esempio toccare una spalla), invece della voce. 
Quando occorre un richiamo verbale, non utilizzare etichette, come “Sei il solito maleducato”. Un breve “Ehi!” o un “Basta!” sono segnali sufficienti.

Altre strategie utili per il bambino sono:
· modificare l’ambiente per evitare il verificarsi dei comportamenti problema: un setting organizzato e strutturato, quindi prevedibile, permette una maggiore regolazione del comportamento;
· fissare routine e scadenze prestabilite, per agevolare la pianificazione, in quanto il tempo diventa maggiormente strutturato e prevedibile;
· dare delle regole: devono essere poche, brevi, condivise, espresse in positivo, sempre ben visibili, meglio se supportate da immagini;
· costruire, insieme al bambino, un contratto educativo: consiste nel registrare le azioni che si impegna a compiere in contesti e momenti chiari e le gratificazioni cui può avere accesso se rispetta quanto riportato nel contratto (es. Luca firma un contratto in cui si impegna a parlare solo quanto chiamato dalla maestra e ad alzarsi dal banco soltanto due volte in una mattinata. Se rispetta quanto sottoscritto potrà scegliere fra alcuni premi, ad esempio: fare un disegno durante gli ultimi 15 minuti della lezione di matematica, fare una corsa in corridoio prima di incominciare la lezione di italiano). 

Gli obiettivi possono essere incrementati o diminuiti, per evitare di frustrare il bambino;
· aiutarli ad utilizzare le loro risorse positive;
· rinforzare i comportamenti adeguati con gratificazioni verbali (“bravo, mi fa molto piacere quello che dici, mi piace quello che stai facendo”) o premi materiali;
· far uso della Token Economy: il bambino guadagna uno smile per ogni attività svolta adeguatamente. Gli smiles ricevuti vengono trasformati in una ricompensa materiale: ad esempio, un giochino, un libretto, un oggetto carino. Questa tecnica ha lo scopo di consolidare i comportamenti corretti e di offrire un continuo feedback sulla propria condotta;
· utilizzare il Time Out quando il bambino mette in atto un comportamento mediamente grave (parole un po’ offensive, ripetuto lancio di palline di carta o di altri oggetti, stuzzicamenti pesanti rivolti al compagno di banco, ecc…). Si tratta di una sanzione: il bambino è accompagnato in uno spazio preposto da un adulto che resterà con lui per tutto il tempo. Staranno in silenzio 5 minuti e poi torneranno nel luogo dove si sta svolgendo l’attività. Se il bambino interrompe il silenzio, il tempo va riconteggiato dall’inizio;
· aiutare il bambino ad organizzare, con l’uso di raccoglitori, i compiti già fatti e quelli da svolgere;
· scrivere promemoria da mettere nei libri o nel diario;
· insegnare al bambino a farsi delle domande prima di iniziare un lavoro o di lasciare un luogo (es. “Ho messo in cartella tutto quello che mi serve? Ho messo sulla scrivania tutti i materiali che mi occorrono per il compito di matematica?”);
· favorire nel bambino una consapevolezza metacognitiva di ciò che sta facendo, del perché e del come: insegnare strategie per apprendere/ricordare/stare attenti e selezionarle in base alla loro efficacia, incoraggiare l’autovalutazione, favorire l’autodialogo interno in modo che il bambino impari a interrogarsi per capire che cosa gli è richiesto di fare, le strategie necessarie, i tempi a disposizione, quali sono le sue risorse interne e quelle esterne (ad esempio i compagni e gli insegnanti).


Ora che abbiamo conosciuto un pò meglio cosa si intende per ADHD, vi aspettiamo nei prossimi giorni per accompagnarvi in un "viaggio" all'interno di un Campus per Famiglie con figli che presentano queste difficoltà!


Alla prossima!
Maura & Alice

lunedì 7 marzo 2016

Una mattinata al Buzzi in compagnia dell'Obm

Un'ospedale a misura di famiglia 


"Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio"
(Proverbio africano)


L’Obm, Ospedale bambini Milano, è un’associazione nata nel 2004 per supportare l’Ospedale Vittore Buzzi, in tutti quegli aspetti dove le risorse pubbliche fanno fatica ad intervenire.

L’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano è da 100 anni a Milano, in Lombardia e in tutta Italia, centro di riferimento per la cura specialistica in campo materno e infantile. Ogni anno partoriscono oltre 3.500 donne e vengono curati in Terapia Intensiva Neonatale circa 400 neonati prematuri. I reparti di Pediatria, Chirurgia, Ortopedia e Terapia Intensiva si prendono cura ogni anno di migliaia di bambini, accompagnandoli verso la guarigione o il miglioramento delle loro condizioni. Solo nel 2014 si sono rivolte al Pronto Soccorso Pediatrico oltre 20.000 famiglie e non solo residenti a Milano.

Abbiamo intervistato Antonella Conti, una delle due responsabili dell’Obm, che insieme ad un gruppo di volontari, si occupa di sostegno e aiuto alle famiglie che si trovano in questo Ospedale.
La Onlus si occupa di tre aree principali:
-    - Supporto tecnologico: l’Obm Onlus, si preoccupa di acquistare strumenti diagnostici e non, che possano fare la differenza. Dal momento che la tecnologia avanza, è importante essere sempre al passo con i tempi.
-        -  Umanizzazione: rendere l’accesso e la permanenza al Buzzi più lieve è un obiettivo importante: ogni ricovero in ospedale, per quanto corto che sia, non è mai un’esperienza molto piacevole, attraverso varie attività che intrattengano bambini di tutte le età o piccoli accorgimenti (come ad esempio il televisore in camera, rendere più accoglienti gli spazi, l’associazione cerca di rendere questo impatto meno traumatico.
        -  Accoglienza: questo campo, che come ci racconta Antonella si è sviluppato un po' per caso, ora è un ambito in espansione. “Tempo fa, una famiglia ci ha proposto un appartamento in comodato d’uso e pian piano, da lì l’attività si è ampliata e ora abbiamo tre appartamenti per 4 famiglia: per chi viene da fuori regione, circa il 30% utenza, questo è un servizio fondamentale, che permette di stare vicino al bambino in ospedale gratuitamente. Le case sono sempre piene! Stiamo cercando di avere delle camere, con spazi in comune magari, dove può alloggiare un genitore.”
Per l’Obm Onlus il servizio di Accoglienza è molto importante, pur non essendo l’attività principale, proprio perché: “Nel momento in cui diamo un appartamento non ci occupiamo solo dell’abitazione, dietro alla casa e accoglienza abitativa, spesso restano da gestire e prendere in considerazione altre problematiche, spesso per alcuni genitori è il primo viaggio così lungo con bambini. Per questo, mentre all’inizio tutto questo era gestito dall’ufficio relazioni con il pubblico, all’inizio gestito dall’uff relazioni con il pubblico, successivamente si è pensato di prendere in carico l’accoglienza “completa” delle famiglie da parte di Obm. I genitori sono spesso preoccupatissimi di come muoversi a Milano. Sappiamo che dietro a tutte le famiglie c’è una storia, ci sono bisogni diversi. A volte arriva qui a Milano la mamma da sola e allora la si accompagna all’interno dell’ospedale per tutte le visite e controlli, o magari arrivano coppie giovanissime molto in ansia, con una gravidanza a rischio, o famiglie straniere dove li si aiuta un po' in tutto anche per via della lingua.

L’attività di Obm Onlus, si è adattata pian piano alle diverse situazioni che si sono presentate, avendo come obiettivo principale quello di rispondere a bisogni dove ci sono necessità.
La mission è il sostegno alla famiglia in senso ampio, in prima persona o cercando e indirizzando verso figure professionali che possono essere d’aiuto. L’obiettivo è quello di essere un punto di riferimento all’interno di un ambiente grande e spesso dispersivo quale è l’ospedale.  
Per questo “Dal 2010 è stato attivato un sostegno psicologico per le famiglie che accedono al reparto chirurgia, sia in caso di ricovero sia in caso di prestazioni ambulatoriali. Ci sono per questo due psicologhe che sono in pianta stabile in chirurgia pediatrica, l’area più problematica, dove anche se i ricoveri sono spesso brevi, ma dove le patologie affrontate sono complesse. Le psicologhe agiscono in stretto contatto con i medici, fanno con loro il giro visita, e se ci sono necessità o particolari problematiche, si mettono in contatto con la famiglia, con i genitori, o con il bambino se abbastanza grande”.
L’impegno però non si ferma qui, infatti si cerca di seguire la famiglia anche dopo le dimissioni: “Se le famiglie vivono fuori Milano, al momento delle dimissioni, le psicologhe provvedono a mettere i genitori in contatto con i servizi territoriali, individuando centri adeguati. Per le famiglie che vivono a Milano invece, continuano ad essere seguite qui al Buzzi”
Il sostegno offerto da Obm Onlus è gratuito, e anche gli appuntamenti di follow up con le psicologhe sono supportate dall’associazione.
Oltre a questi servizi, i volontari offrono anche un servizio serale: “Il servizio serale fa lettura pre sonno. Anche questo servizio è nato da un’occasione: creando un gruppo di volontari pian piano ci si è accorti che non erano presenti la sera, e quindi abbiamo pensato di organizzare questa attività che si è rivelata molto apprezzata anche dai genitori e non solo dai bambini.”

Un altro ambito di interesse è il sostegno ai bambini prematuri e alle loro famiglie: “Ad oggi, qui in ospedale, ma anche in generale, i bambini prematuri, per vari motivi, sono in aumento, e molte mamme con gravidanze a rischio si recano qui al Buzzi dove, grazie anche alla presenza della Terapia della gravidanza e della Terapia neonatale, sempre più bambini sopravvivono. Come associazione cerchiamo di supportare il reparto, ad esempio comprando delle culle- incubatrici termoregolate, che mantengono il giusto livello di umidità pur dando le possibilità di aprirle, in modo che il genitore può toccare il suo bimbo, il personale può fare determinate operazioni senza spostarlo e questo dà grandi vantaggi soprattutto pensando che i bambini nati qui, pesano veramente poco, 500g o poco più. Inoltre, cominciando a lavorare con la terapia intensiva neonatale, si è campito che le mamme avevano bisogno di un sostegno psicologico perché non si è mai pronti alla nascita di un bambino prematuro, ma non solo, anche il personale ne sentiva l’esigenza, e così ora è presenta una psicologa anche in questo reparto”.

Gioco forza dell’Associazione, sta proprio nel lavoro in stretta sinergia con il personale ospedaliero.

L’Obm Onlus è un’associazione di aiuto su più livelli, che cerca e indirizza varie aree di competenza per favorire il benessere in situazioni difficili, cercando di rispondere a più esigenze della famiglia e dell’Ospedale.


Alice&Maura

https://ospedaledeibambini.it/
OBM Ospedale dei Bambini Milano, Buzzi Onlus,
Via Castelvetro 28, 20154 Milano
Tel: 0257995359

domenica 6 marzo 2016

Cinema e dintorni: Quasi amici e il caregiver formale


Il caregiver formale: chi è costui? 



Oggi a cinema e dintorni parliamo di Quasi Amici. Un film che racconta in modo semplice che cosa è un caregiver formale, cioè colui che nel linguaggio comune viene identificato come il bandante o la badante: una persona che si occupa di curare il malato con un contratto di lavoro. Questo comporta un carico emotivo, fisico ed economico verso l’assistito che si presenta, per sua natura, differente dalla relazione tra caregiver informale (tipicamente un parente) e malato. Il ruolo del caregiver formale è molto delicato, dal momento che può essere facilmente percepito come un “invasore” delle dinamiche familiari. Tuttavia servirsi di un caregiver informale può ridurre il livello del burden e di stress che la famiglia sopporta in situazioni di cura estrema, come nel caso di alcune patologie invalidanti. 



Questo è proprio ciò che avviene nel film: un giovane cerca di ottenere il sussidio di disoccupazione dopo aver scontato la pena in carcere in seguito a una rapina. Si trova così a sostenere un colloquio presso la casa di Philippe, un uomo molto ricco, ma altrettanto malato. Al colloquio Philippe resta colpito dall’atteggiamento di Driss e decide di proporgli una scommessa: lavorare per lui. 

“Philippe: Come si sente a vivere di assistenza?
Driss: Cosa?

Philippe: Non le dà fastidio campare alle spalle degli altri, non le dà qualche piccolo problema di coscienza?

Driss: A me no, e a lei?

Philippe: Ad ogni modo, pensa che sarebbe capace di lavorare? Di rispettare un contratto, degli orari, delle responsabilità?

Driss: Mi sbagliavo, ne ha di senso dell'umorismo.
Philippe: Ne ho tanto che ho pensato di prenderla in prova per un mese! Le lascio tutta la giornata per rifletterci; scommetto che non regge due settimane!”


Il film racconta come Driss e Philippe si abituino progressivamente alla rispettiva compagnia e alle difficoltà quotidiane, arrivando a stringere un rapporto di quasi amicizia che porta Driss a essere confidente di Philippe e Philippe a insegnare a Driss come vuole essere da grande. 

“È esattamente questo, quello che voglio: nessuna pietà. Spesso mi passa il telefono, sai perché? Perché si dimentica. È vero, non ha una particolare compassione per me, però è alto, robusto, ha due braccia, due gambe, un cervello che funziona, è in buona salute; allora di tutto il resto a questo punto, nel mio stato, come dici tu, da dove viene, che cosa ha fatto, io me ne frego.”

Buona visione! 

Alice


Fonti 
http://www.inforesp.org/ricerca-lignano.html#

sabato 5 marzo 2016

Mediazione familiare: empowerment anche quando il legame coniugale finisce

Non più coniugi, ancora genitori: come gestire l'essere genitore quando la relazione coniugale viene interrotta? 

"Nel mezzo delle difficoltà, nascono le opportunità"
(Albert Einstein)




Anche il divorzio o la separazione rientrano nelle transizioni che apportano cambiamenti nelle dinamiche familiari. Ad oggi, in Italia, è possibile gestire queste situazioni attraverso la mediazione familiare. Si tratta di un processo in cui una coppia di coniugi e di genitori viene accompagnata a essere una coppia di genitori grazie a un mediatore specializzato che si occupa della cura dei legami familiari. 

Perché è noto: la famiglia può essere una risorsa e un luogo di benessere, ma in alcune situazioni può dare nutrimento a gravi sofferenze. Lo scopo della mediazione è proprio quello di aiutare una famiglia a capire cosa cambia all’interno delle sue dinamiche nel momento in cui la coppia giunge a rottura e soprattutto si occupa di preservare il benessere dei figli. Si tratta di un processo globale che prende in carico non solo la dimensione educativa dei figli, ma anche la dimensione finanziaria.

La mediazione prende inizio dalla rottura della coppia coniugale tuttavia, attraverso un processo di riconoscimento e discussione, arriva a rilanciare il legame con la costruzione di un nuovo patto  che parte dal riconoscimento della funzione genitoriale. Questo, per esempio, può essere reso possibile dal lavoro sul genogramma: attraverso l’utilizzo di fogli la coppia e il mediatore ricostruiscono la storia familiare in modo da avere sott’occhio l’intero panorama generazionale. Con questo nuovo punto di vista è possibile ampliare lo sguardo sulla rottura, vedendo come coinvolge altre generazioni e i suoi effetti “a cascata” sull’intera organizzazione familiare. 

La mediazione quindi si configura come una risorsa per il benessere della famiglia, anche in caso di rottura. 


Alice

Fonti

Parkinson, La mediazione familiare, ed. italiana a cura di C. Marzotto, 2013

venerdì 4 marzo 2016

L'empowerment familiare e l'autismo

"Per certi viaggi non si parte mai quando si parte.  Si parte prima. A volte molto prima."



Questa frase appena l'ho letta su internet è stata come una lampadina...ho cercato da dove arrivasse e ho scoperto questo fantastico libro: Se ti abbraccio non avere paura. Mi ha colpito subito, forse perchè a me gli abbracci, fanno sempre un pò paura. 
Ma questo è un abbraccio speciale tratto da una storia speciale, dove le parole hanno un peso importante.
Ci sono parole, infatti, che hanno più peso di altre, che hanno effetti maggiori rispetto alle stesse pronunciate in modo, maniera e contesti diversi, e lo sappiamo bene.
Così sono le parole dei medici, che spesso arrivano come docce fredde nella vita tranquilla di famiglie già prese da altre mille difficoltà proprie del vivere in gruppo.
E proprio così ha inizio questa storia, la storia di Franco Antonello, nel Maggio 1996, e di suo Andrea: due anni e mezzo..
"Quindici anni, fa stavo tranquillo sul treno della vita comodo con i miei cari e le cose che conoscevo all'improvviso Andrea mi scuote, mi rovescia le tasche, cambia le serrature delle porte, tutto si confonde".
L'autismo è un disturbo che fu identificato da uno psichiatra di nome Leo Kanner, che per primo, descrisse i sintomi simili di una decina di bambini. In particolare, la maggior parte di loro era disinteressata nei confronti del mondo e delle persone intorno, faticavano a giocare con altri bambini, non rispondevano al proprio nome quando chiamati, preferivano non guardare negli occhi le persone, spesso presentavano manie per gli oggetti o per dettagli, mettendo in atto comportamenti a volte bizzarri.
"Comportamenti illogici, strani", compromissione qualitativa delle relazioni sociali e interpersonali, difficoltà nella reciprocità degli intenti; compromissione dello sviluppo delle competenze comunicative; modalità di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi.

Definizioni, sottogruppi di definizioni, sintomi, terapie riabilitative, stereotipie, difficoltà comunicative... incomincia la Bufera.
E' l'inizio da una parte di un dramma, dall'altra parte di un'avventura, che richiede energia, impegno, positività, fatica, ma che consente di mettere in campo tutte le proprie risorse all'interno della famiglia, da parte di tutti i membri, per dare il meglio, lungo un percorso fatto di tanti ostacoli, ma anche di tante improvvise soddisfazioni.
"Tuo figlio, a due anni e mezzo, si trova a vivere una vita in salita rispetto a tutti gli altri..e allora dici, chi se non te, può condurlo su una strada un pò meno buia di quella che è invece la strada dell'autismo".
La forza di una famiglia, che per anni lotta inseguendo varie terapie, tradizionali e non.
Poi il viaggio. 
Il contrario di tutto, senza routine, senza ritmi sempre uguali... Un viaggio particolare, senza bussola, senza una meta. Tre mesi in moto, auto, aereo, attraversando l'America, 40.000 Km.
Tante sorprese, alcune divertenti, ma sopratutto, un modo per imparare...
Imparare a conoscere e a conoscersi...

Ci sono ad oggi diverse terapie che vengono messe in atto nella riabilitazione di questo disturbo, ma tutte hanno in comune la precocità dell'intervento e l'intensità; le principali sono:
- la terapia cognitivo comportamentale (Applied Behaviour Analysis);
- psicoterapia;
- trattamenti educativi (TEACCH)
- trattamenti psicomotori educativi o relazionali

...ma sopratutto, ci sono i genitori, che pur di creare, mantenere e rafforzare i legami, sono disposti a tutto e sono sempre i "Terapisti" migliori, anche a costo di organizzare un viaggio in USA!!!

«Sai Odisseu, con certe persone la vita si è confusa all’ultimo istante». «In che senso?». «Ha sbagliato una virgola, ha messo il punto dove non doveva esserci. Ha dimenticato un occhio, un orecchio, un po’ di cervello, una mano. Si è confusa, si è fermata un millimetro prima. Mancanze lievi, rispetto a tutti gli impegni che ha la vita»….
Andrea passa davanti al muretto senza vederci, arriva qualche metro più in là, si gira, alza un braccio, sfiora la luna, ritorna. Angelica è rimasta sulla veranda, a osservare.
Una luce s’accende e poi si spegne. Più nulla. Allora, in un istante, dimentico tutto quello che ho studiato e un poco imparato sull’autismo (…) speri che il mondo corra, che la ricerca corra, che tutti gli scienziati delmondosi mettano di buona lena e immagini che, un bel giorno, la vita ti suoni al campanello e ti consegni una qualche soluzione. Ma qui, adesso, basta un po’ di silenzio, un po’ di illusione, perché il cuore trovi un battito di tregua.
Fulvio Ervas – Se ti abbraccio non avere paura



Buona lettura!
Maura


Fonti
Fulvio Ervas, Se ti abbraccio non avere paura
Ezio Sanavio, Psicologia clinicaCesare Cornoldi, 2010

giovedì 3 marzo 2016

Incontro con l'Alzheimer: come comunicare?

5 consigli pratici per sopravvivere alle riunioni di famiglia 


"Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione."

(Bauman)

Abbiamo parlato del morbo diAlzheimer, proponendo il progetto della regione Lombardia per il sostegno dei caregiver, tuttavia il progetto di sollievo prevede qualche ora a settimana, come attrezzarsi durante il resto dei giorni?

Il malato di Alzheimer, a causa del danneggiamento cognitivo che la mattia presenta, oltre a evidenti problemi di memoria e di orientamento, ha problemi di comunicazione che sono destinati ad aggravarsi, causando nel malato apatia ed esclusione sociale e sottoponendo il caregiver e la famiglia a una fonte di stress notevole. È stato osservato, infatti, che questa compromissione porta con sé:

  • incomprensione dei comandi verbali;
  • difficoltà nell’esprimere a parole cosa si prova;
  • difficoltà nel dire cosa si ha intenzione di fare;
  • incapacità di richiamare le parole necessarie per impegnarsi in una attività.


Vi ritrovate anche voi?
Come si può intervenire nella quotidianità?
 La letteratura scientifica propone una serie di accorgimenti che il caregiver e i familiari possono mettere in atto per aiutarsi nella comunicazione con il malato, salvaguardando il benessere di entrambi.
Prima di iniziare: se avete voglia di fare due chiacchiere con una persona malata di Alzheimer che sta facendo qualcosa di diverso, chiedetele di interrompersi, per esempio, se sta guardando la tv, sarebbe una buona idea spegnerla e mettersi uno di fronte all'altro!



Ecco 5 semplici  dritte da provare ad usare:

  1. Utilizzare frasi semplici: fate in modo che un’idea corrisponda a una frase, in caso di malattia avanzata è bene usare anche frasi corte;
  2.  Aggiungete in modo progressivo informazioni nuove alla conversazione, rispettando i tempi del malato;
  3.  A supporto della conversazione usate i gesti. Se alcuni concetti non vengono compresi potete provare a scrivere alcune parole su un foglio per rendere più facile la loro comprensione oppure aiutarvi con alcune figure;
  4. Se dovete ripetere la frase, ripetete parola per parola il suo contenuto;
  5.  Durante una conversazione, se non capite cosa il malato vi stia dicendo, non abbiate timore di chiedere di ripetere o di fare domande semplici che possano aiutarvi nella comprensione.


Buona chiacchierata!

Alice





Fonti

Bourgeois, The challenge of communicating with persons with dementia, 2002
Bourgeois, et al, Modifying repetitive verbalizations of community-dwelling patients with AD, 1997
Gentry, Fisher, Facilitating conversation in elderly persons with Alzheimer’s disease, 2007
Goldfarb, Pietro, Support systems: older adults with neurogenic communication disorders. 2004
Haak, Do you hear what I mean? a lived experience of disrupted communication in mid-to-late, 2003
Haberstroh et al. TANDEM: communication training for informal caregivers of people with dementia, 2011
Hamilton, Conversations with an Alzheimer’s Patient: An Interactional Sociolinguistic Study, 1994
Mahendra et al, Evidence-based practice recommendations for working with individuals with dementia: computerassisted cognitive interventions (CACIs),2005
Orange et al, Conversational repair by individuals with dementia of the Alzheimer’s type, 1996
Papagno, Le demenze in Vallar, Manuale di neuropsicologia, 2011
Ramanathan et al, Alzheimer Discourse: Some Sociolinguistic Dimensions, 1997
Rochon et al, Sentence comprehension in patients with Alzheimer’s disease, 1994
Savundranayagam et al, Matched and mismatched of the effectiveness of communication strategies by family caregivers of persons with Alzheimer’s disease, 2014
Small, Perry, Do you remember? How caregivers question  their spouses who have Alzheimer’s disease and the impact on communication, 2005
Small et al, Effectiveness of communication strategies used by caregivers of persons with Alzheimer’s disease during activities of daily living, 2003
Small et al, Sentence comprehension in Alzheimer’s disease: effects of grammatical complexity, speech rate, 1997
Tappen et al, Communicating with individuals with Alzheimer’s disease: examination of recommended strategies, 1997
Watson et al, An analysis of trouble and repair in the natural conversations of people with dementia of the Alzheimer’s type, 1999
Wilson, et al, Formal caregivers’ perceptions of effective communication strategies while assisting residents with Alzheimer’s disease during activities of daily living, 2012
Wilson et al, Examining success of communication strategies used by formal caregivers assisting individuals with Alzheimer’s disease during an activity of daily living, 2012